Storia del ponte di Passofonduto, tra Campofranco e Casteltermini
(Con note autobiografiche)
di Salvatore Panepinto
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Un giorno l’Appuntato Altavilla, facente parte della Stazione Carabinieri di Taranto Vecchia, dove io prestavo servizio da giovane Carabiniere nel 1954, mi chiese di comporre una “poesia” in occasione della cresima del figlio Claudio.
Egli sapeva che mi dilettavo a scrivere in rima, perciò pensava che fosse facile "tirare fuori" un pensiero di circostanza. Ma non era così perché, trattandosi di specifica richiesta, non sentivo di impegnarmi più di tanto. Ma con le sue buone maniere, ottenne il mio consenso. Quindi, prova e riprova (fatiche mentali a parte), venne fuori qualcosa che intitolai: “Accidenti al sonno!”. Al momento della festa, fra gli invitati c’ero anch’io che, fingendomi mezzo addormentato, dovevo leggere il "componimento "simile ad una “filastrocca”. C’erano pure tanti amici e dei “colleghi”, complici di una improvvisata “sceneggiata”, per la verità riuscita bene. Eccola:
Accidente al sonno
Oggi la fantasia m’ha ispirato,
un pensiero per la famiglia dell’Appuntato:
l’ho scritto e lo tengo qui,
ascoltatelo, dice così:

Egregio Signor Altavilla,
l’animo le ride, il cuore le scintilla:
è contento e pieno d’allegria
per questa festa e la nostra compagnia

Beh! e questo, cos’è?
E la moglie, dov’è?
Questa parola, dove se n’è andata?
Ah! sta qui, l’ho trovata!

Mi scusi, Signora,
il distrarmi m’addolora:
ho sonno e non tanto bene veggo,
proverò di nuovo, ascoltatemi, rileggo.

Egregi coniugi Altavilla,
l’animo vi ride, il cuore vi scintilla;
siete contenti e pieni d’allegria
per questa festa e la nostra compagnia.

Beh! e questo cos’è?
E Claudio, dov’è?
Questa parola, dove se n’è andata?
Ah! sta qui, l’ho trovata!

Accidente al sonno che ho!…
Non ci vedo neppure un po’!
Scusami, Claudio, sai?,
sono mortificato quanto mai!…

Rileggo! Rileggo con più attenzione,
voglio finirla con questa distrazione!
Ascoltatemi, non vi annoiate,
non dite nulla, sennò mi scoraggiate…

Egregi coinugi Altavilla
E Claudio, figlio vostro caro,
l’animo vi ride, il cuore vi scintilla,
gli occhi si trasformano in un faro.

Beh!, e questo cos’è?
E la Signorina Lucia, dov’è?
Questa parola, dove se n’è andata?
Ah! sta qui, l’ho trovata!…

Non ci vedo, il sonno m’accecato!
Come fare? Dormo, sono addormentato!
Mi scusi Signorina, non se la prenda,
è il troppo sonno, la prego, mi comprenda…

Riprovo, ma se non riesco a finire,
lo giuro, andrò a dormire!
Vi prego, abbiate pazienza,
accidenti a questa sonnolenza!

Egregia famiglia Altavilla,
l’animo vi ride e il cuore vi scintilla,
siete contenti e pieni d’allegria,
per questa festa e la nostra compagnia.

Oggi, è una felice giornata,
due volte da voi festeggiata:
festa dell’Arma, a cui fa parte l’Appuntato,
festa per Claudio che s’è cresimato.

Alla festa partecipa il “compare”
e gli amici che son venuti a ballare:
perciò, un applauso ai presenti
che dell’invito sono contenti.
Non ci vedo, non so continuare,
devo, devo andarmi a coricare,
casco per terra, più non ce la fo,
buona notte a tutti, domani lo leggerò.
Taranto, 24-5-1954
Ritornando al Ten. Triscari, la mattina successiva, col prezioso documento in mano, inizia il viaggio verso casa, raccontandolo così:
“Sono ormai solo sulla strada, fuori Casteltermini. Ho con me una bicicletta e, fissata sul manubrio, la mia cassetta da cui ho tolto la targa con grado e nome; anche così, puzza di militare solo a guardarla e dentro ci sono i pantaloni, la camicia, la bustina, gli stivali, la fascia azzurra d'ordinanza, la “Rivoltella Ideale" di Oriani, la pistola con 10 caricatori completi e il cinturone; nel portafoglio ho con me la tessera di Uffìciale. E’ un grosso rischio! Male che vada, non nasconderò però la mia identità!"
Strada facendo, diversi furono i veicoli american carichi di soldati che lo superavano. Il seguente brano è tanto dolce quanto emozionante:
"Vado verso Acquaviva e poco dopo sento rumore di cingolati; sono 4 Sherman sulla mia stessa direzione di marcia. Scendo dalla bicicletta e mi stringo sul lato a monte, con in mano il "Travel Permit" a giustificazione della mia presenza. La colonna mi passa accanto, saluto con la mano gli uomini che sono fuori e provo stupore evidente al fatto che l'ultimo carro rallenta e si ferma. Mi fanno cenno di salire, porgo la bicicletta, la cassetta, mi arrampico da solo e ringrazio con un sorriso. Non credo a me stesso e lo stupore è tale che stento a frenare i battiti del cuore. Parlo pochissimo, lascio intendere che non capisco la lingua, ma accetto volentieri quello che loro stanno mangiando.
Dopo Lercara Friddi la colonna piega a destra su Alia e poi ancora a Nord verso Cerda; non ne capisco il perché; la strada diventa brutta, sassosa, con curve difficili; all'ingresso di Cerda passiamo avanti e siamo il carro di testa, ma cerco di spiegare che bisogna aggirare il paese perché nell'interno le strade sono più strette del carro. Ora capisco! Il pilota ha il nonno nel paese, perché porge spesso un foglio con un nome ed un indirizzo, e riceve dalla gente sorrisi, battimani e l'invito a proseguire. Ma capita quanto già avevo previsto e l'incastro e inevitabile. Proseguo da solo; mi porgono la bicicletta e la cassetta oltre la torre, mi aggrappo al cannone e scivolo davanti. Saluto, ringrazio; mi allontano lentamente, ma fuori vista dopo la prima curva accelero più che posso. Davanti ora è il Mare Tirreno, so già che tra qualche Km. dovrò piegare a destra, poi sarà Cefalù, Santo Stefano di Camastra, Sant'Agata di Militello, e poi il largo respiro dello Zappulla; ormai mi ritrovo tra posti conosciuti, non sento fame, non ho sete, non provo stanchezza. Un pensiero alla Madonna di Gibilmanna e, finalmente a casa.
A questo punto sento la necessità di esprimere un doveroso pensiero sul conto di questo Importante Personaggio, quale che sia il Signor Tenente Marconista Dionisio Triscari, Super Uomo e Grande Ufficiale, per il quale ogni qualvolta leggo anche una sola parte del suo Diario, provo apprezzamento, simpatia ed emozione, come se lo avessi di fronte in tutte le sue manifestazioni.
Diverse cose da lui scritte le sapevo di già, perché avendo in quell'epoca 15 anni, le ho vissute giorno dopo giorno, con l'angoscia di un futuro 4incerto, come quando ci si trova in prima linea, in Lui. Altri fatti li ho letti poi, nei libri degli Storici Castelterminesi.
A tal proposito dico con piacere che questo libro (nato per caso) verrà letto principalmente dai miei figli, dai figli del miei figli (nipoti), dai figli dei figli dei miei figli (pronipoti) all'infinito perché, a parte i miei "episodi" che sanno di "racconti paesani", quello che accadde in questo lembo di "Suolo Italiano", località "Passofonduto" di Casteltermini, ce lo troviamo in primo piano in due distinti avvenimenti che portano il Ponte sul Fiume Platani al centro di situazioni opposte.
Anche l'eventuale lettura da parte di amici o conoscenti la considererò motivo di "orgoglio" per il Signor Tenente, per la sua professionalità nell'operare. Sarà quindi grazie a lui se tanti altri cittadini verranno a conoscenza di simili "eventi" che altrimenti resterebbero ignorati.
Dicendomi testimone diretto, mi fa piacere raccontare un paio di episodi che trovano riferimento allo sbarco degli alleati in Sicilia, ed al transito degli americani dal mio paese.
Quello che segue è il primo. Nel tratto di strada della Statale Passofonduto - Casteltermini, distante in linea d'aria poco più di due chilometri, in località Mandravecchia lo zio Francesco possedeva un appezzamento di terra con vigneto, ulivi e mandorli. Un giorno mentre mi trovavo lì, improvvisamente spuntarono da una collina due aerei di quelli a due code (°) che volavano a bassa quota, istintivamente corsi per mettermi al riparo sotto un albero, ma mio fratello Francesco mi lanciò un urlo spaventoso, dicendomi: "Fermatiii!!!". Mi bloccai sull'istante e non accadde nulla. Poi mi spiegò che se io fossi rimasto fermo come un palo, sarei stato confuso con degli oggetti di campagna, viceversa correndo, rischiai d'essere mitragliato, perché era questo ciò che avveniva in quel periodo per le persone che camminavano fuori dal paese. Del resto capitò anche mio fratello Raffaele, con altri quatto compagni di lavoro, di ritorno dalla zolfara. Ma per fortuna non furono colpiti.
Ecco come, spiega questo tipo di apparecchio, il Tenente Triscari: "Trattasi del Looked P. 38, a due code come i nostri Savoia Marchetti delle trasvolate atlantiche, ma con la differenza che è un monomotore e le code sono fusoliere, con equipaggio e mitragliatrici".
Un giorno, a sorpresa, dai medesimi aerei, vidi sganciare due bombe a breve intervallo. Una cascò poco distante la periferia sud del paese, l'altra fu lanciata su una collina prospiciente il centro abitato. La paura fu tanta ma grazie a Dio non accadde nulla. Data la vicinanza con Passofonduto, quale obiettivo militare, queste esplorazioni erano frequenti.
Per chiudere il cerchio dei tre fratelli, chiamati o richiamati per servire la Patria, è con gioia che dico che pure Vincenzo poté considerarsi fortunato per essere tornato a casa, sano e salvo, dopo cinque anni di tra guerra e disavventure.
Nel 2003, ossia sessanta anni dopo, in quella medesima proprietà di "Mandravecchia", (in parte ereditata da me) dove alcuni anni prima avevo fatto scavare un pozzo artesiano, rinvenni una scheggia di bomba. La presi e la conservai con emozione perché si trattava certamente dell'unica bomba esplosa in quella zona, senza conseguenze.
L'altro episodio, pure accaduto nel luglio 1943, riguarda lo zio Francesco in prima persona, allora settantacinquenne, uomo sapiente e maestro di vita, il quale montato sulla sua asina non più giovane come lui, di ritorno da Mandravecchia, ad un certo punto nell'essere superato da una Jeep, salutò un ufficiale superiore americano con le seguenti parole: "Hello Fred" e quegli, dopo aver risposto al saluto, gli chiese come mai sapesse il suo nome. Lo zio gli spiegò di averlo improvvisato perché sapeva che in America, tante persone si chiamano così. Dal momento che lo zio sapesse parlare l'inglese ed anche argomentare per essere stato quattro anni negli Stati Uniti, ne nacque un improvvisato piacevole dialogo, che lasciò contenti entrambi. L'Ufficiale gentiluomo, gli regalò un paio di scarpe basse color marrone, che furono infinitamente gradite. Qualche volta di domenica pomeriggio le calzai anch' io.
Citare l'asina dello zio Francesco senza dedicarle un piccolo pensiero, sarebbe come "mancarle di rispetto" siccome la praticai e la cavalcai per oltre un decennio, iniziando da bambino e continuando da giovanotto, avendo così modo di valutarne la "bontà".
Anche la mia nonna Carmela, sorella del garibaldino Bernardo Fragale, la cavalcò molte volte nonostante l'età avanzata, sedendosi comodamente sul "basto" a gambe unite, messe lateralmente. Le redini le teneva con bravura, sicura della mansuetudine della bestia, perché tali tipi di animali, contrariamente a quanto si dice e al nome che portano, non sono stupidi ma "molto, molto umili" .
A tal proposito non saprei spiegarmi il perché queste povere bestie, mansuete per natura e incapaci di ribellarsi, in passato venissero trattate con inaudita crudeltà, dalla categoria dei gessai.
In gruppi di tre, quattro e anche cinque, con delle bisacce piene del pesante gesso, facevano la spola fra la "fornace" e il cliente che ne faceva uso per costruire.
Il conducente, quasi sempre un giovanotto, cavalcava l'asino più vigoroso e, servendosi di una lunga verga flessibile, li faceva trotterellare a suon di colpi. Nel viaggio di ritorno, non essendo "carichi", venivano ripetutamente prese a vergate sulla schiena, tanto da far loro perdere l'equilibrio e quindi dover correre "sbilenchi" per un po', col risultato che il "vile conducente", per "raddrizzarli" li colpiva ancora dall'altra parte della schiena, con la medesima violenza. E essi, poveretti, correvano, correvano senza interruzioni, perché sapevano che la verga era pronta per colpirli ripetutamente.
Di tale "crudeltà" era nato un "motto" che esprimeva lo specifico comportamento disumano degli scellerati conducenti. Recitava: "Essere trattati come gli asini dei gessai!". Era, ed è tuttora, uno sfogo da parte di "persone indifese" destinate a subire "ogni tipo di prepotenza", da parte di coloro che hanno "poteri discrezionali!". (nni finì cumu li scecchi di li issara).
Facendo riferimento alla "nonna" che aveva 80 anni quando io ne avevo 9, da alcuni decenni mi "porta" a fare delle considerazioni che, oltre a ritenerle giuste, mi sembra di non averle mai lette né sentite dire dalla bocca di altri.
Si tratta di memorie, o meglio di tutto ciò che ha che fare col tempo passato, il che significa che "se lei" (della quale conservo ottimi ricordi), mi raccontava episodi narratile dalla sua nonna, o addirittura dalla bisnonna, le quali a loro volta li avevano appresi da altri precedenti antenati, ne deriverebbe che io ora, racconterei fatti risalenti ad alcuni secoli fa, come se fossi (per sentito dire) testimone diretto.
Esempio: partendo dal presupposto che una generazione sia composta da 25 anni, e che i 3 nonni o bisnonni, come nel caso mio, abbiano dato luogo a 3 generazioni ciascuno, ne conseguirebbe che essi (compresa la mamma del Garibaldino che pure lei fu longeva), siano giunti a 9 generazioni. Di conseguenza si diventa conoscitori di fatti originati 2 secoli fa.
Per usanza, i nipoti (e anche i pronipoti per imitazione), la chiamavamo "Mamma-Mela" (Mela ci sta come diminuitivo di Car-Mela), il cui significato rispondeva a due volte Mamma, "Mamma di mia Mamma".
Rimanendo nei ricordi della sua dolce compagnia, trovo interessante quando da ragazzo mia madre mi raccontò un frammento di storia familiare riguardante il di lei nonno paterno, Francesco Zambuto.
Costui (nato nell'’800.) costruì un fabbricato con l'intento di farne due abitazioni perfettamente uguali da dividere, agli unici due figli, Raffaele e Vincenzo. Quando arrivò l'ora tirò le sorti e i figli l'abitarono autonomamente con le rispettive famiglie, in perfetta armonia.
Raffaele e Vincenzo a loro volta, fra i vari figli ebbero ciascuno un figlio maschio al quale, in base ad una rispettabile tradizione, imposero il nome Francesco, con la conseguenza di chiamarsi entrambi "Zambuto Francesco", e col risultato che, per distinguerli, occorreva aggiungere il nome del padre, nominandoli quindi: "Francesco di Raffaele e Franccesco di Vincenzo.
Rimasti tutti e due celibi e non esistendo altri Zambuto maschi, con la loro morte e quella delle rispettive sorelle, la famiglia Zambuto di Casteltermini, si estinse definitivamente.
Non così fu per il cognome di nonna Carmela, perché grazie al fratello Bernardo, il garibaldino, nacquero numerose generazioni tra figli e figli dei figli, uno dei quali, avendo sposato mia sorella Maria, dava luogo ad una nuova maglia dell'antica catena. A tal proposito posso aggiungere che, se ai tempi di nonna Carmela, io ero considerato un nipote dei Fragale, ora mi trovo nella condizione di zio, in riferimento ai figli della citata mia sorella.
Ritornando al Francesco di Raffaele, ossia al fratello di mia madre, costui era portato allo studio, dimostrando una vasta cultura generale, raggiunta da autodidatta
Egli fu Consigliere al Comune di Casteltermini assieme a mio padre il quale, come lui, lavorava in miniera, ed era altrettanto istruito; era stato Giudice
Popolare presso la Corte di Assisi di Agrigento. Andavano molto d'accordo.
Era quella un’epoca in cui, chi si intendeva di miniere, cercava di “sfondare”, ossia riuscire a rovare un giacimento di zolfo valevole come tentativo per aprire una miniera tutta propria, con la speranza di una vita migliore. A tal proposito, anche mio padre assieme allo zio Francesco, in piena sintonia tentarono diverse volte, impiegando apposito personale che pagavano di tasca propria, purtroppo senza successo.
Della famiglia di Vincenzo, fratello del nonno Raffaele, avrei da dire che fra i nipoti dell'unica sua figlia Carmela sposata, c'era Serafina, maestra delle scuole elementari non ancora di ruolo, che fu mia insegnante privata, siccome a causa della guerra, le scuole erano state chiuse mentre io frequentavo la terza elementare. Quando poi si riaprirono, essendo diventato un giovanotto, dovetti rimediare con la scuola privata a pagamento, con la citata cugina Serafina, conseguendo la 5^ elementare con un livello culturale di 3^ Media.
Quando poi si aprirono quelle serali, mi iscrissi alla 5^ elementare non come "ripetente..." ma con l'intento di migliorare la cultura generale, non esistendoci allora le Medie serali, conseguendo altra licenza: la seconda in ordine cronologico. E la cosa non finì lì perché l'anno successivo mi iscrissi altra volta. La maestra, a sua volta, nel vedermi riseduto fra i banchi, si rivolse al Preside, il quale da persona saggia, apprezzando la mia buona volontà acconsentì, esprimendosi nei seguenti termini: "Maestra, quanti ragazzi non vengono a scuola?, e quanti altri vengono sfaticati?, e lui che ha voglia di imparare lo dobbiamo mandare a casa?!, lo accetti e lo scriva sul registro!", lasciandomi conseguire la 3^ licenza elementare, in ordine cronologico.
All'inizio dell'anno di poi, prima che qualcuno dovesse intercedere per farmi sedere nei medesimi banchi, si presentò un professore con la barba, che di cognome faceva proprio Barba, il quale dovendo formare una classe per insegnare Agraria, cercava ragazzi ben preparati: proprio quello che faceva al mio caso! E così frequentai il terzo anno da "studente di sera" e "lavoratore di giorno" con tanto di calli alle mani, affrontando pioggia e freddo d'inverno e caldo africano d'estate, percorrendo a piedi decine di chilometri per recarmi prima al lavoro e poi per far ritorno a casa, conseguendo il titolo di studio Tipo "C", Aggiornamento, paragonabile al 1° Avviamento Professionale (4^ licenza in ordine progressivo).
Nel frattempo avevo raggiunto il ventesimo anno di età. Quindi, per mia scelta, mi arruolai nell'Arma dei Carabinieri con ottima cultura generale.
In riferimento alla frequenza dei tre anni di scuola serale, mi addolora il pensiero per non aver potuto frequentare le Scuole Medie a pagamento perché, avendone le qualità intellettuali, certamente sarei arrivato ad un diploma! Ma le modeste condizioni familiari non me lo consentirono
A tal proposito mi viene in mente quello che mi raccontò in quel tempo lo zio Francesco, in merito ad un ragazzino di famiglia economicamente modesta, di nome Ludovico Antonio Muratori detto il Moro, il quale in una scuola di campagna andava ad ascoltare le lezioni da dietro le finestre. E quando il maestro lo scoprì, siccome gli scolari si distraevano, lo fece entrare, gli parlò e, resosi conto che ne sapesse più dei suoi alunni, gli consentì di frequentare la sua classe gratuitamente, e dandogli la possibilità di diventare eccelso (Giurista e politico).
Naturalmente non sarebbe stato il caso mio, pur tuttavia mi ritengo ugualmente fortunato perché nell'Arma dei Carabinieri, con la mia perseveranza, raggiunsi il massimo grado nella scala gerarchica dei Sottufficiali, ossia quello di "Maresciallo Maggiore Aiutante", la cui qualifica rientra nel personale di concetto, con le relative meritate decorazioni.
Qui, pur avendo iniziato diverse volte a studiare seriamente, per realizzare il "Diploma mancato", non mi fu possibile per ragioni ambientali, da me considerate assurde. Ma quando appresi la notizia d'essere stato ammesso alla Scuola Allievi Sottufficiali di Firenze, da privatista mi presentai presso L'Istituto Scolastico di Pratovecchio-Stia (Arezzo), sostenendo i relativi esami e conseguendo il Diploma di Scuola Secondaria di Avviamento Professionale Tipo Industriale Maschile, non perché fosse indispensabile, in quanto la partecipazione al Concorso era già avvenuta per "esami" e non per "titolo". ma per un punto di "orgoglio" personale in relazione alla futura carriera di Sottufficiale,
In merito al livello di cultura, mi fa particolarmente piacere parlare dei verbi (che ho messo sempre al primo posto) siccome credo mi abbiano fatto ben figurare nell'esprimermi correttamente (modestia a parte).
A tal proposito mi fa piacere citare la scena del film "Don Camillo e Peppone", in cui i due protagonisti, vanno a trovare l'anziana Maestra moribonda, che fu insegnante del Sindaco al quale, sapendolo "zoppicante", gli raccomandò di "ripassare i verbi...".
Anche se "poco" come attestato "Scolastico", questo semplice "Diploma", nella mia modestia vale un "Tesoro", considerando le numerose vicende (belle e brutte) che si sono succedute.
Un episodio che mi fa ricordare volentieri la brava cugina e maestra Serafina (accaduto dopo essermi congedato), lo voglio raccontare per il piacere di averla avuta a casa mia da pensionata pure lei, per una visita di cortesia assieme al marito Gaetanino Butticè, pure lui maestro in pensione e affabile.
Allegra nel carattere e molto amica di mia moglie, nella circostanza si rese particolarmente cordiale nello scambio delle battute comiche che, fra tutti e quattro tiravamo fuori.
Ad un certo punto, ricollegando il fatto d'essere stato un suo alunno, a sorpresa e con una certa emozione,le detti da leggere parte di una mia "composizione". Com'era immaginabile felicemente feci centro!, perché ne derivò una allegra sceneggiata che riporto di seguito dicendomi certo che piacerà molto.

Le panchine della Fontana di Campofranco
"Preso dal risentimento per il fatto che le panchine della Fontana della Rinascita, nel periodo estivo vengono occupate dai medesimi uomini anziani, un osservatore scrive (con la fantasia) al Sindaco, pregandolo di esaminare il caso per trovare una soluzione:
"Egregio Signor Sindaco,
nella mia persona di semplice cittadino, vengo a metterla a conoscenza di un fatto che a prima vista potrà sembrare banale, specie se paragonato ai problemi d’attualità sempre più complessi; ma tutte le situazioni, critiche e non, meritano d’essere esaminate.
Mi riferisco alle panchine della Fontana che, nei mesi estivi, vengono occupate dai medesimi vecchietti, senza che altri abbiano la possibilità di sedervisi. Infatti, dalle prime ore della mattina e fino a notte inoltrata, questi vegliardi nonnetti sembrano darsi il “cambio sul posto”.
Forse ella, Signor Sindaco, vorrà fami notare il rispetto che costoro meritano. Vorrà anche dirmi che essi possano essere nostri padri, nostri avi, parenti oppure amici, per cui sono degni di riguardo. Ma io non sto parlando male di loro di cui ho invece molta stima; sto solo cercando di esporre un problema di “monopolio” che, se visto dalla giusta angolazione, merita d’essere analizzato.
Ordunque, la Fontana in generale, è spettacolare. I monti che la circondano le danno aria fresca e pura. La Fontana, in particolare, detta della “Rinascita”, felice capolavoro architettonico, unico esemplare in tutta la Sicilia, i cui Bronzi raffigurano l’Industria, l’Artigianato, l’Agricoltura, le Miniere, le Saline, l’Archeologia, il Turismo, il Teatro, la Viabilità, l’Istruzione, il Risparmio, lo Sport, contornata dalla verde aiuola, è suggestiva.I numerosi zampilli, che a ritmo alternato sgorgano da più strati con impeto verso l’alto e che, ricadendo cambiano direzione al mutar del vento, creano un raro scenario, reso ancor più attraente dalla naturale composizione delle bellissime immagini, fra cui una grande cupola di pioggia che forma un pittoresco ricamo incrociato. Un imperioso getto centrale, domina il mosaico sottostante rappresentato dagli schizzi, come una grande torta nuziale a più strati, in una veduta veramente incantevole, specie se osservata coi riflessi del sole in una giornata splendida. Breve intervallo e lo spettacolo ricomincia allegro, affascinando chi sta a guardare, magari sfiorato dalle finissime goccioline.
Coi suoi spettacolari spruzzi, la Fontana, munita da fari interni, appare ancor più pittoresca a tarda sera, illuminata com’è da una luce colorata che le arriva dai lampioni che la circondano.
Le Panchine, intervallate da piccoli alberi piantati in caratteristici vasi di pietra a tronco di piramide rovesciata, con pareti ornate da minuziosi sassetti selezionati, la rendono stupenda, siccome inghirlandata dalla infinita ringhiera che adorna e cinge.
Seduti però, sono sempre loro: i vecchietti che non si stancano di narrarsi il tempo passato. Persone di tutte le età affollano la Piazza, si muovono, camminano, s’incontrano, si fermano, parlano. Danno pure un’occhiata alle panchine, alla ricerca di un posto libero ma, deluse, vedono che è tutto esaurito!
Mi scusi, Signor Sindaco, e mi permetta l’immodestia: capisco che i diritti dei cittadini fanno parte di un moderno progresso, considerando del tutto lecito l’occupazione delle panchine. Ma, Santo Iddio, non si deve confondere il diritto col rispetto dell’altrui persona, quando tutti facciamo parte della medesima Società e solo alcuni fanno uso di un bene comune. E poi, viene da chiedersi: “Perché questi benedetti nonnetti, non si portano i loro nipotini a cui raccontare la vita vissuta, frutto di esperienza e insegnamento? Così facendo, forse, le panchine prenderebbero il giusto aspetto che è quello d’essere occupate anche da donne e piccini.
Signor Sindaco, non voglio toglierle altro tempo a lei prezioso, perché so quanti sono i problemi che ogni giorno deve affrontare, perciò concludo pregandola di voler esaminare il caso e trovarne una giusta soluzione.
Distintamente grazie.
Campofranco, 20-8-1989.
Salvatore Panepinto
La cugina Serafina, non più giovanissima come pure io, al termine della lettura e relativi commenti, rimase meravigliata. Nel farmi i suoi complimenti sembrava dicesse: "Il mio alunno ha raggiunto la Maestra".
Prima di porre termine, un doveroso pensiero sento di dedicarlo al “Computer”, che mi ha facilitato la passione nella composizione dei racconti, unendoli in distinti volumi, quali:

La Rima, con 15 poesie;

La Prosa, con 18 racconti;

Lo Sfogo con 19 episodi relativi a fatti ritenuti ingiusti:

In Caserma, in cui sono riportati allegri episodi accaduti in ambiente militare;

Il Comandante della stazione citofonica che tratta parte del mio lavoro nella qualità di Maresciallo Comandante di Stazione, collaborato dai pochi dipendenti;

Le panchine della Fontana della Rinascita - 2^ Edizione 2009, racconto, foto e cronistoria della Fontana della Rinascita di Campofranco;

Le chiese e le processioni religiose di Campofranco, raccolta di foto con didascalia riferite alle feste religiose di Campofranco;

Il Mosaico in maiolica dell'artista Roberto Fragale che tratta opere d'arte di esclusiva bellezza, la cuiparte centrale rappresenta la Croce come strumento di pace nel mondo, mentre nella parte iniziale e inquella finale, nella mia qualità di ideatore ed autore del volume, mi sono permesso di inserirci alcuni episodi personali che "potrebbero" ritenersi fuori luogo, ma che, se guardati da "altra" angolazione, potrebbero apparire accettabili.

Il Criticone, tre racconti che hanno in comune un acuto senso critico;

Storia di un ponte sul fiume Platani in località 'Passofonduto" di Casteltermini, vicissitudini e tanti episodi improvvisati.


Infine, con un pizzico di orgoglio, concludo col dire che mi fa veramente piacere indicare in fondo all’ultima pagina dei singoli volumi, la dicitura: “Foto, stampa, impaginazione e rilegatura, a cura dell’Autore”, come se il lavoro "uscisse" da una tipografia personale, improvvisata...
Recapito presso le cognate Serafina e Lillina Randazzo, in Campofranco Via S. Francesco, 14.
"3291956520" Tim
Campofranco, 13-3-2013.

La pagina seguente, ultima del presente libro, mi fa oltremodo piacere dedicarla alla cartina geografica di Casteltermini, Passofonduto e relativo "Ponte a Sette Archi
Questo lembo di “Suolo Italiano”, quale che sia la località “Passofonduto" di Casteltermini, ce la troviamo protagonista in due distinti avvenimenti storici che portano "il Ponte sul Fiume Platani" al centro di situazioni opposte.
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Salvatore Panepinto
Nota biografica
Salvatore Panepinto é un Maresciallo Maggiore Aiutante dei Carabinieri, in pensione. Congedatosi nel 1988, lasciò l'Arma dopo 37 anni e 6 mesi di effettivo servizio. Il ruolo di Sottufficiale (24 anni), lo iniziò dopo averne prestato 12 da giovane Carabiniere e frequentato il Corso Allievi Sottufficiali presso la Scuola di Firenze, uscendone col grado di Vicebrigadiere. L'intero servizio, motivo di orgoglio che non tutti possono vantare pur facendo parte alla medesima Arma, lo espletò presso le Stazioni Territoriali, iniziandolo in Puglia e concludendolo in Toscana, scrivendo molte decine di migliaia di atti, in massima parte diretti all'Autorità Giudiziaria.
Appassionato da sempre alla scrittura, pur in pensione, si dedica volentieri alla composizione di racconti, fra cui uno lungo per la verità ma divisibile, riunisce particolari episodi risalenti all'epoca del servizio in qualità di Comandante di Stazione, di cui prende il titolo.
Nella foto, scattata 20 anni dopo il congedo, è constatabile sullo sfondo una parte della meravigliosa Cinta Muraria Lucchese.
Maturò le seguenti decorazioni:

. Medaglia d'Oro Mauriziana al merito di 10 lustri di carriera militare ed attestazione del lungo e meritato servizio nelle Forze Armate;

. Medaglia d'Oro a conclusione della carriera militare, per il costante esempio di disciplina ed alto senso del dovere ed onorata vita da carabiniere;

. Croce d'Oro per anzianità di servizio militare per aver compiuto 25 anni di servizio;

. Medaglia Militare al Merito di lungo Comando per aver compiuto 15 anni di effettivo comando di reparto;

. Medaglia Militare di Bronzo al Merito di Lungo Comando, per aver compiuto 10 anni di effettivo comando di reparto;

. Croce per Anzianità di Servizio Militare per aver compiuto 16 anni di servizio militare.


6 – Fine
Le precedenti puntate sono state pubblicate sui numeri: 483, Maggio - Giugno 2015; 484, Luglio - Agosto 2015; 485, Nov.-Dic. 2015; 486, Genn-Febbr. 2016; 487, Marzo-Aprile 2016.