Seme di senape
Il futuro della speranza

Il testo in tedesco, qui riportato, è preso da un’ampia nota di osservazioni maturate in seno ad un gruppo informale che seguiva gli schemi che si elaboravano durante il concilio Vaticano II. Il testo risale ai primi mesi del 1964 e risente della tedesca «theologia crucis».
Vi si intravede il senso di ottimismo che si aveva riguardo al progresso tecnologico della società industriale. Era nel clima di quegli anni nutrire un senso di trasformazione serena e fiduciosa del mondo; finanche il tempo libero era considerato uno dei segni dei tempi, caratteristici di un avvenire pieno di speranza.
«Die sogennante technisch-pragmatistische Zukunft hat freilich für das morgige Christentum seine Gefahren, hat aber auch grosse, allergrösste Chancen, wie etwa das grosse Kulturproblem der zukünftigen Freizeit. Diese Chancen muss man einfach hoffnungsvoll anpacken und ein volles Ja sagen zum zukünftigen technischen Lebensstil der Menschheit».
Una dinamica fondamentale della fede cristiana è il senso della speranza; anzi meglio, la polarità attesa/profezia e tempo ultimo/compimento. A Dio appartiene il futuro perché suscita speranza; ed è proprio di Gesù risorto essere «hoffnungsvoll».
Un tale concetto è presente nella Prima Lettera di Pietro, apostolo. Vi si dice che i cristiani, battezzati, sono rigenerati per una speranza viva. Parafrasando 1 Pt 1, 3-5, si potrebbe dire che la speranza sia un’eredità conservata nei cieli per noi e che si può rivelare negli ultimi tempi.
In questo caso il testatore (Dio) non è morto; l’eredità si può acquisire in quanto si partecipa a beni reali ed eterni. L’eredità è viva, – si direbbe in latino – «etsi Deus daretur». Allora, segue che il futuro della speranza prende forma.
Vivere in modo cristiano la speranza comporta di vivere bene nella storia; anzi, saper disporre il cuore ad attendere. Un teologo italo-tedesco, emergente da pochi anni, ha ribadito bene un tale concetto in un suo bel libro sulla teologia della storia.
«Chi attende restando nella storia conosce la consolazione che la storia stessa offre: lo stile di Dio, la sua azione, i suoi tempi. C’è un’attesa nutrita dalla memoria, un’attesa che viene da lontano». Ovvero, secondo la fede cristiana, non si vive più proiettati verso il futuro del mondo, ma si scivola sempre più dall’avvenire verso il passato, dalle attese umane verso la speranza divina.
Solo Dio è fedele a se stesso, credibile di fronte agli uomini, autorevole dinanzi alle potenze mondane; altrimenti, non sarebbe Dio. Dio non è mondano, Dio è l’Eterno. Noi ci troviamo spesso negli affari del «secolo», ma Dio ci attira verso il suo eone, ovvero il «suo» tempo.
Una simile storia, piena di speranza, non è per sottrarci alle responsabilità personali e familiari, di lavoro e di etica sociale; anzi, al contrario, è per snidare nelle pieghe più mal riposte e lacerate della vita, le impronte della mano divina che ricuce i fili della santità.
A fronte dei potenti del mondo, solo gli umili di cuore possono avvertire il passaggio di Dio nelle cose più modeste della vita; come dice il nostro teologo, «essi [gli umili] obbligano il Dio della giustizia prima, e dell’amore poi, a prenderne atto. In questo modo: la loro “potenza” sarà “atto”, naturalmente alla fine. Ma alla fine della storia». E l’inizio della fine è avviato con Gesù Risorto.

Salvatore Falzone sac.