Seme di senape
La fede della grazia
In vista del 2017 sono cominciate le celebrazioni per ricordare che nel
1517, a Wittenberg, Lutero espose le sue celebri tesi con le quali
cominciava a separarsi dalla Chiesa di Roma; anzi meglio, contestando
prassi e teorie legate alle indulgenze, faceva appello alla Chiesa
delle origini e quella desiderava riattualizzare.
Martin Lutero invocava la riforma al fine di assomigliare alla Chiesa
originaria, cioè a quella degli apostoli. E nel mondo germanico ebbero
molto influsso tali idee del monaco agostiniano. In effetti, il maestro
di teologia in questione era sant’Agostino; e nei decenni seguenti il
vescovo di Ippona sarà il teologo chiamato in causa, sia dai cattolici
sia dai luterani.
Del suo vasto e complesso pensiero si estrae un solo elemento. Nelle
opere di Agostino si rintraccia l’espressione «fede della grazia». Tale
espressione si basa sulla Lettera ai Galati, di san Paolo apostolo. Al
capitolo 5 della lettera paolina si trova una riflessione sulla fede
matura; è la fede che esercita una responsabile autonomia dalla Legge
mosaica e dalle sue prescrizioni.
Scrivendo all’incirca dopo il 50 d.C., san Paolo invita i fedeli delle
comunità galate a non ricercare la circoncisione per sentirsi
giustificati e assolvere alle usanze giudaiche. Ammonisce gli agitatori
giudaizzanti col dire che si separano da Cristo coloro che intendono
giustificarsi con la sola pratica della Legge; anzi, arriverebbero al
punto di separarsi dalla grazia.
La giustizia, invece, ha ben ragione di anelare alla speranza; si ha
una «speranza della giustizia» la quale non può compiersi se non con la
giustificazione che deriva dalla fede in Cristo. Ci si trova davanti
all’unico passo paolino in cui la giustificazione si apre ad una
prospettiva escatologica – (ta éschata, sono le realtà estreme e
ultime). Ciò può significare che la crisi galata ha da ricomporsi nella
rivelazione finale del Cristo (capace di “ultimare” tutto)? è
probabile; anche la divisione fra cattolici e luterani può risolversi
considerando la fede nel Cristo risorto e il giusto anelito a vivere
nel suo tempo finale (éschaton)? è possibile.
In Gal, al capitolo 5, si trova un passo, molto caro a sant’Agostino;
cioè l’affermazione che la fede opera mediante la carità (Gal 5, 6).
Paolo non abolisce del tutto il valore morale della Legge; riconosce il
valore delle “opere” della giustificazione, ma le riforma, chiamandole
“frutti” dello Spirito Santo. Dallo Spirito del Cristo risorto deriva
che fioriscano le opere dei cristiani. Questo è un concetto coerente
con le altre lettere paoline; inoltre, tutta la Lettera ai Galati
costituisce un’anticipazione della Lettera ai Romani dove tali concetti
sono espressi in modo più ampio e articolato.
Tornando a sant’Agostino, la fede della grazia è la fede che invoca la
grazia divina per mezzo della quale le opere della legge potranno, sì,
compiersi. Se si riceve lo Spirito dell’amore (qui amore nel senso di
charitas divina) la fede diviene attiva attraverso l’amore. Altrimenti,
no, le opere rimangono morte.
Più o meno a partire dall’anno 412, Agostino sviluppa di più tale
concetto riassunto con l’espressione «fede della grazia». In breve,
l’unica fede che giustifica è la fede che diviene attiva corrispondendo
all’amore divino e donandosi ai fratelli con rispettoso amore (cioè
come caritas); non a caso le opere buone, senza una fede autentica e
matura, da Agostino sono considerate peccati. (75)
Salvatore Falzone sac.