Pagine di storia da non dimenticare

I NISSENI DELLA RESISTENZA

    1943 - Un ricordo lungo sessanta anni 1

Oltre sessanta anni sono trascorsi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale; oramai da tempo deportazione, Resistenza, antifascismo sono argomenti che quasi non fanno più parte di quello che pensavamo essere il patrimonio cultuale fondante e condiviso della nostra forma statutaria.
Nella migliore delle ipotesi sono percepiti, sfumati, lontani, o peggio considerati con fastidio o addirittura con ostilità.
Ancora fino a qualche anno fa in quasi ogni famiglia, soprattutto nelle regioni centrosettentrionali del paese c’era qualcuno che, per qualche aspetto, aveva vissuto la guerra: era stato soldato, oppure sfollato, aveva subito i bombardamenti, era stato partigiano, aveva conosciuto la fame; spesso i ricordi erano vere lezioni di storia, le persone stesse erano la Storia.
Oggi, interrompendosi, anche per questioni anagrafiche il filo del ricordo, la memoria è alquanto più labile, sembra incredibile che tutto possa essere successo. Né forse ci interessa conoscere un passato dal quale trarre gli insegnamenti per la costruzione di un progetto complessivo e coerente di futuro.
Alla presunzione di molti interessa solo l’oggi, il proprio vantaggio il proprio personale tornaconto.
Eppure se siamo qui a discutere a porci interrogativi, se siamo ciò che siamo, lo dobbiamo anche a coloro che contribuirono a sconfiggere il fascismo.
Non erano eroi, la Resistenza non ha bisogno di eroi, erano persone normali che come noi soffrivano, gioivano, avevano paura, amavano, anche odiavano, ma che avevano una speranza grande per la quale molti persero la vita. Uomini e donne con un nome ed una faccia che, spesso senza una chiara visione politica, rifiutarono nell’animo e nei fatti di aderire alla Repubblica Sociale Italiana.
Questa vasta partecipazione, questo magari diffuso e disomogeneo rifiuto, il convergere nella Resistenza di opzioni politiche diverse fecero del fenomeno italiano un caso, per molti aspetti unico, nel panorama resistenziale europeo.
La quotidianità, le scelte di vita, piccoli gesti apparentemente poco significativi divennero essi stessi aspetti della Resistenza; gli orrori della guerra, l’angoscia, la paura si intrecciavano indissolubilmente con la speranza, nonostante tutto bisognava andare avanti.
Grazie a questa volontà, la storia personale di ognuno di quegli uomini e di quelle donne è diventata una Storia nella quale, ancora speriamo tanti di noi, si riconoscono.
Nel 1992 gli Istituti piemontesi per la storia della Resistenza (l'Istituto regionale di Torino e gli Istituti provinciali di Asti, Alessandria, Cuneo, Novara e Vercelli) coordinati dal professore Claudio Dellavalle avevano intrapreso uno studio quantitativo del movimento partigiano.
Scopo della ricerca era la ricostruzione, su scala regionale piemontese degli aspetti sociologici e numerici del partigianato utilizzando dati quali: età, luoghi di nascita, professioni, carriera partigiana, ecc. ecc.
Al termine del lavoro si ottenne una grande banca dati contenente 91.847 records, che oggi costituisce un insostituibile riferimento, per coloro che si interessano alla Resistenza e fondamentale strumento di lavoro per ricercatori e studiosi.
Per meglio capire la portata storica della ricerca e le difficoltà incontrate dai diversi ricercatori e collaboratori leggiamo direttamente dal sito dell’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea Giorgio Agosti (siglato ISTORETO):
La ricerca che inserì il progetto di lavoro nel programma generale per le celebrazioni del cinquantesimo conclusa la fase di caricamento dei dati, il lavoro fu oggetto di un convegno organizzato dagli Istituti e dalla Regione, “Partigianato piemontese e società civile”, che si tenne a Torino il 27 e 28 aprile 1995. L'anticipazione di alcuni dati, ancorché provvisori, comparve nel saggio di Claudio Dellavalle, Partigianato piemontese e società civile, «Il Ponte», 51, n. 1, gennaio 1995.
La documentazione presa allora in esame era quella prodotta dalla Commissione regionale piemontese per il riconoscimento delle qualifiche partigiane, attiva a Torino tra il 1945 e il 1948 sotto la presidenza del generale Alessandro Trabucchi, istituita con altre dieci Commissioni regionali dal decreto luogotenenziale del 21 agosto 1945, n. 518, al fine di vagliare e definire la posizione dei partigiani. Il decreto stabiliva criteri precisi per la concessione della qualifica di partigiano caduto, combattente, invalido o mutilato, e della qualifica di “patriota” per tutti coloro che “hanno collaborato o contribuito attivamente alla lotta di liberazione, sia militando nelle formazioni partigiane per un periodo minore di quello previsto, sia prestando costante e notevole aiuto alle formazioni partigiane” (art. 10). La Commissione piemontese utilizzò, a differenza delle altre, anche un terzo livello, quello di “benemerito” - termine peraltro ripreso dal precedente decreto luogotenenziale 5 aprile 1945, n. 158 - per riconoscere un elevato numero di persone che avevano svolto un'opera di supporto alle forze combattenti. Sono altresì presenti le pratiche dei non riconosciuti e quelle non accettate. Si deve ricordare inoltre che il decreto legislativo del 6 settembre 1946, n. 93 stabiliva l'equiparazione a tutti gli effetti dei partigiani combattenti ai militari volontari operanti con le unità regolari delle Forze armate nella guerra di liberazione, equiparazione estesa alle donne limitatamente agli effetti economici.
L'area di competenza della Commissione si estendeva sulle sole formazioni partigiane smobilitate in Piemonte: non compaiono quindi i dati relativi alle formazioni della provincia di Novara – circa 13.000 nomi – smobilitate a Milano, e quelli riguardanti le formazioni che operarono a cavallo del confine ligure-piemontese in alcune zone delle province di Cuneo e Alessandria, circa 4.000 uomini smobilitati a Genova.
Tutta la documentazione è conservata a Roma presso l'Ufficio per il riconoscimento delle qualifiche partigiane (Riconpart), dipendente dal ministero della Difesa, che ha fornito una preziosa collaborazione.
Tra la grande massa di documenti conservati è stata individuata sia per la consultabilità che per la quantità delle di informazioni – minore dei fascicoli personali, vincolati, ma maggiore dei registri matricola – la serie delle schede che gli uffici della Commissione avevano compilato a partire dai dati di ogni singola pratica istruita sulla base dei fogli notizia individuali. Tali schede, ordinate alfabeticamente, costituivano lo strumento per risalire dal nome della persona che aveva presentato domanda di riconoscimento ai fascicoli personali conservati nell'archivio di Riconpart. L'intera serie (circa 160.000 pagine) è stata fotocopiata e i dati caricati in una scheda informatica realizzata inizialmente in Db IV, a cura del gruppo di lavoro composto dai ricercatori degli Istituti piemontesi. Grazie alla collaborazione e alla disponibilità dell'Ufficio storico dello Stato maggiore dell'Esercito è stato possibile utilizzare il lavoro già avviato dall'Ufficio stesso volto a mettere su supporto informatico i nomi dei partigiani combattenti. Il file dei dati relativi al Piemonte è stato convertito in un formato compatibile e utilizzato per compiere verifiche e confronti per circa metà delle schede.
Le informazioni fornite dalle schede possono essere raggruppate in quattro gruppi:
1. dati biografici (dati anagrafici, nome di battaglia, luogo e indirizzo di residenza, titolo di studio, professione)
2. esperienza militare (nelle forze armate prima dell'8 settembre; nelle varie forze della Rsi o tedesche dopo l'8 settembre)
3. carriera partigiana (passaggi tra diverse formazioni – fino a tre formazioni diverse - periodi, gradi e funzioni ricoperte, ferimenti, dati relativi prigionia o deportazione, decorazioni e, per i caduti, i dati relativi alla morte)
4. qualifica attribuita dalla Commissione.

1943 – Partigiani, il momento della scelta

Proviamo brevemente ad inquadrare il contesto storico nel quale si dipanarono le storie personali dei soldati nisseni che gli avvenimenti successivi all’8 settembre 1943 sorpresero in Piemonte.
Se nel paese, le difficoltà economiche, le privazioni e la stanchezza per una guerra oramai persa ingeneravano una sommersa e sempre più diffusa richiesta di normalità fra i soldati, prepotentemente, cresceva il desiderio di tornare a casa.
Nella seconda metà del settembre 1943 molti dei militari che si erano allontanati dalle formazioni regolari si trovavano davanti al dilemma: scegliere percorsi individuali di sopravvivenza, ossia tornare a casa o rimanere in montagna trasformano la fuga nel fenomeno collettivo del ribellismo.
Se i soldati originari delle regioni del nord, pur con rischi e difficoltà poterono fare ritorno alle famiglie d’origine, viceversa, sia per motivi di distanza geografica e in considerazione delle difficoltà di attraversare le linee del  fronte che divideva la penisola, per i soldati provenienti dalle regioni meridionali del paese, il tornare a casa lungo l’asse nord- sud era molto difficile e quindi, la seconda opzione ossia, rimanere in montagna, fu quasi un obbligo: quasi unica possibilità di vita.
Molto sommariamente furono questi i presupposti esistenziali, prima ancora che politici, della nascita del fenomeno resistenziale e dell’aggregarsi di formazioni di cui, per lo meno inizialmente, molte non avevano alcun riferimento politico.
La scelta di aderire a una delle diverse formazioni, nella stragrande maggioranza dei casi, escludiamo da questo ragionamento taluni quadri operai, gli antichi militanti antifascisti o qualche ufficiale del Regio Esercito, avvenne in modo prepolitico e con molteplici ragioni di fondo: localizzazione geografica della formazione, rapporti parentali o amicali, medesimo paese d’origine, motivazioni psicologiche, non ultima la paura.
Fin dall’inizio il fenomeno rispondeva anche ad un rinnovato senso di appartenenza, come forse poteva accadere nel caso di quei gruppi di sbandati, che provenienti magari dal medesimo reparto, insieme, si presentavano o si costituivano in banda partigiana.
Bisogna essere realisti, non nascondersi dietro facili e comode idealità che poco si addicono a quel periodo storico, la umana realtà di molti di coloro che salirono in montagna era rappresentata dalla volontà di sfuggire a quelle trappole che erano diventate le città del nord mentre altri volevano sfuggire agli obblighi militari della Repubblica di Salò e alla collaborazione coi tedeschi.
Moltissimi volevano evitare di essere coinvolti in una guerra non loro.
In buona sostanza possiamo dire che spesso, paradossalmente, all’origine della scelta partigiana vi fu una volontà di pace. Già questa era una scelta; una scelta coraggiosa e definitiva. Per molti significava tagliare i ponti dietro di sé, era una più o meno conscia dichiarazione di appartenenza, uscire da una, per quanto oltraggiata e per certi versi sicura legalità, significava iniziare a combattere la propria guerra.
La prima forma di Resistenza, non armata, non collettiva, né tanto meno partecipativa, ma embrionale, psicologica, inconscia e comprensibile, fu anche quella di aspettare l’evolversi della situazione.
Questa attesa è l’attendismo di coloro che, poco o per nulla politicizzati, operai, piccoli borghesi, ma anche intellettuali, soldati nascosti e renitenti, aspettano di vedere e capire quale piega prenderanno gli avvenimenti. Nel volgere di poco tempo gli attendismi entrano in crisi e non rappresentano più una possibilità praticabile.
Non l’attendismo individuale di chi aspetta tempi migliori - i rastrellamenti sempre più stringenti scovano i renitenti e nell’eventualità migliore li arruolano a forza nella R.S.I; non resiste l’attendismo teorizzato da qualche partito e dai monarchici; gli avvenimenti impongono scelte drastiche.
Era la condizione di clandestinità a spingere verso l’azione concreta nella quale si distinsero i soldati meridionali, che impossibilitati a rientrare a casa furono fra i primi a salire in montagna e più continui nell’azione partigiana.
Molto sommariamente erano questi gli ambiti in cui i soldati siciliani, nella fattispecie quelli nisseni si trovarono a dovere scegliere.

I nostri paesi nella banca dati dell’ISTORETO

Tornando alla banca dati dell’ISTORETO, questa enorme fonte contiene i nominativi di coloro che in qualche e a vario titolo modo furono coinvolti nel fenomeno resistenziale nelle provincie di Torino, Asti, Alessandria, Cuneo, Vercelli ed Aosta.
Il numero di costoro riferito ai ventidue comuni della provincia di Caltanissetta ammonta a 200 persone. Non tutti ottennero la qualifica di partigiani, alcuni furono riconosciuti come patrioti, altri come benemeriti, altri ancora non ebbero alcun riconoscimento.
Occorre dire che seppur empiricamente possiamo sostenere che, molto probabilmente, il numero dei partigiani siciliani doveva essere superiore a quello registrato. Questa differenza ha origine in cause diverse.
Finita la guerra certamente molti vollero, prima possibile, tornare a casa e non si preoccuparono di qualifiche e riconoscimenti; altri pur avendo i requisiti non si preoccuparono o non sapevano di poter ottenere un riconoscimento.
Restringiamo il nostro campo d’indagine e proviamo a capire chi fossero coloro che provenienti dai comuni di Bompensiere, Campofranco, Milena, Montedoro, Mussomeli e Sutera parteciparono alla Resistenza piemontese.
Interrogando la citata banca dati ISTORETO emergono 30 soggetti che, suddivisi per provenienza e qualifica, riportiamo nella seguente tabella:



Tabella 1
Comune                 Presenti nel db    Partigiano Patriota Benemerito Nessun Riconosc.    Caduto  Mutilato

Bompensiere                   1                        1            0                 0                      0                      0          0
Campofranco                  5                        3            1                 1                      0                      0          0
Milena                            4                         4            0                 0                      0                      0          0
Montedoro                     4                         2            0                 0                       1                      1         0
Mussomeli                    12                        4             3                 0                      3                       1        1
Sutera                             4                        2             1                 1                      0                       0         0
Totale                           30                      16             5                 2                      4                       2         1



Di questi ben 16 ottennero la qualifica di partigiano (50%) numero che sommato ai 5 patrioti e ai 2 benemeriti porta a ben ventitré il numero di coloro che ebbero un riconoscimento ossia il 76%, indice questo di un significativo coinvolgimento nelle vicende di quel periodo; invece solo 4 non ebbero alcun riconoscimento.
In 23 schede troviamo riportato il nome di battaglia sarebbe molto interessante conoscere le motivazioni che spinsero alla scelta di uno pseudonimo piuttosto che un altro. In alcuni casi poteva trattarsi di un nome attribuito di compagni, di un riferimento ad una caratteristica fisica, in altri il diminutivo del nome di battesimo o del cognome ad esempio Lillo per Calogero, Cenzo, diminutivo piemontese di Vincenzo (pronuncia censu) o ancora Schilla per Schillaci.
Nessuna scheda segna nomi di battaglia più politici come ad esempio Stalin, Libero ecc. ecc. talvolta presenti in alcuni contesti.
Nel corso dell’attività resistenziale taluni conseguirono un grado: 2 capo nucleo, 1 comandante di squadra, 1 commissario di distaccamento.
Proviamo ora a delineare brevemente alcuni profili sociologici partendo dall’ età anagrafica che risulta all’8 settembre 1943 e rileviamo che l’età media del nostro campione è di 27 anni.
Tre soggetti: Calogero Favata di Campofranco; Francesco Lomanto di Mussomeli e Salvatore Pillitteri di Sutera con i loro 52 anni di età costituiscono il gruppo degli anziani, mentre Fernando Lo Manto di Mussomeli (la grafia è diversa dal precedente), con i suoi soli 14 anni è il vertice della nostra piramide anagrafica.
Tutti gli altri, 26 nominativi, si situano fra i 45 e i 17 anni di età. 
Se i comuni di nascita sono quelli riportati nella prima tabella, leggermente più complessa è la questione relativa al luogo di residenza. Ben 12 schede, riportano una residenza diversa dal comune di nascita. Mettendo in relazione tale dato con la professione dichiarata e l’età anagrafica abbiamo la conferma dell’esistenza, di flussi migratori dalla Sicilia verso il nord Italia. A tal proposito vedasi i casi  nn° 4-5-6-7-8-9-11, che talvolta riportano l’indirizzo del comune di residenza, con percorsi legati anche alla carriera militare come nel caso dei nni 2 e 19.
Ossia: Nicastro Antonino, Campofranco, 28 luglio 1907, maresciallo capo, distretto di Cuneo e residente a Fossano; Pillitteri Salvatore, Sutera, 18 luglio 1891, aiutante di battaglia, distretto di Vercelli e residente a Vercelli.





Tabella 2
n°    Comune di nascita    Anno di nascita     Comune di residenza     Professione

1      Campofranco                  1919                           Palermo              Elettricista
2      Campofranco                  1907                           Fossano (Cn)      Militare *
3      Campofranco                  1924                           Cuorgnè (To)      Commerciante
4      Campofranco                  1891                           Torino                 Guardia Giurata
5      Milena                             1918                           Bruzolo (To)       Agricoltore
6      Mussomeli                       1910                           Torino                 Commerciante
7      Mussomeli                       1898                           Torino                  -----
8      Mussomeli                       1891                           Torino                 Calzolaio
9      Mussomeli                       1921                           Torino                 Casalinga
10    Mussomeli                       1929                           Torino                 Studente
11    Mussomeli                       1919                           Torino                 Commerciante
12    Sutera                              1891                           Vercelli                Militare*

Interessante a questo proposito è rilevare come dei 5 nativi di Campofranco, presenti nel campione, ben 4 abitassero in un altro comune, mentre dei 12 di Mussomeli ben 6 abitavano a Torino. Potrebbe essere un caso ma potrebbe anche, tenendo conto anche dei cognomi e di una particolarità parentale che vedremo più avanti, il segno dell’emigrazione.
 Chiudiamo questa parte della trattazione con la tabella nella quale riportiamo le ricorrenze certe circa le professioni dichiarate, dalla quale notiamo, e non poteva essere diversamente, visto il contesto economico d’origine, una prevalenza di professioni legate all’agricoltura:

Tabella 3
Professioni                                                       n°ricorrenze
Panettiere, elettricista, guardia giurata,                   
1
geometra, macellaio, minatore, fattore,
calzolaio, casalinga, studente, operaio.   
Muratore                                                                   2
Commerciante                                                          4
Nessuna professione                                                 4
Contadino, agricoltore, bracciante                           9

Risulta poi interessante la presenza di alcuni indizi quali la coerenza dell’età anagrafica e la residenza, nonostante il cognome sia scritto con due grafie diverse, ci fanno ritenere essere una famiglia, ovvero:
Noto Vincenza, nata a Mussomeli il 12 gennaio 1898 e residente a Torino in corso Galileo Ferraris 69, moglie di Lomanto Francesco nato a Mussomeli il 7 agosto 1891, professione calzolaio e residente allo stesso indirizzo; genitori di Lo Manto Fernando, nato a Mussomeli il primo gennaio 1929.
A questo si aggiunga poi la presenza, di una parente o forse la figlia maggiore: Lo Manto Salvatrice nata a Mussomeli il 5 luglio 1921 e residente a Torino in via Garibaldi 57.
Una conferma del legame esistente fra queste quattro persone potremmo anche individuarlo nel fatto che, tutte, facevano parte della medesima formazione: Raggruppamento Davito.
Ancora un paio di notazioni per dire come il quattordicenne Fernando, a motivo della sua comprensibile scarsa attività non ebbe riconosciuta alcuna qualifica partigiana, mentre la madre Noto Vincenza risulta essere un caduto; la scheda, pur non riportandone il luogo indica la data di morte: 26 ottobre 1944.
Per inciso, riconducibili a questa famiglia sono le due sole presenze femminili rilevate.
Certamente queste notazioni sono da approfondire presso le anagrafi dei comuni di origine e di residenza, ciò non dimeno, riteniamo siano però sufficienti ad aprire spiragli di curiosità e ricerca per un fenomeno che, anche per comprensibili, ma non giustificabili motivi geografici, soprattutto in Sicilia, spesso è passato sotto silenzio. Invece potrebbe essere motivo di rinnovato orgoglio, come motivo di orgoglio è sapere che la prima formazione partigiana entrata a Torino il 26 aprile 1945, la 1a Divisione Garibaldi, era comandata da Pompeo Colajanni, Nicola Barbato, nativo di Caltanissetta(prima foto),mentre il 6 maggio 1945, l’alfiere della Sfilata della Vittoria, in piazza Vittorio Veneto a Torino fu Vincenzo Modica (seconda foto), FrancoPetralia, di Mazzara del Vallo.
Tutto ciò solo per rammentare sempre che
Chi vive veramente non può non essere cittadino e parteggiare.
Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento …. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
Antonio Gramsci, “La città futura”, 11 febbraio 1917, Torino.(1-continua)

Elo Seminara

Nel prossimo numero: 1943 – I nomi dei Partigiani della provincia di Caltanissetta che operarono in Piemonte.