Semi di senape
I beni che onorano Dio

Il fenomeno sociale e politico, legato al presidente statunitense Donald Trump, si spiega pure per le venature di pentecostalismo che caratterizzano la sua ascesa. Gruppi americani pentecostali propugnano la ricerca del benessere individuale e ne trovano le motivazioni nella Bibbia.
In effetti, in alcuni brani più antichi del Primo Testamento, la ricchezza appare un valore positivo; essa consiste nel possedere greggi, prole e servitù. Nella letteratura sapienziale si parla in termini favorevoli dell’industriosità personale: «produce indigenza una mano indolente, / una mano svelta, invece, arricchisce» e «i beni del ricco sono la sua roccaforte, / ma la rovina dei poveri è la loro indigenza» (Pro 10, 4 e 15). In breve, si ammetteva che la ricchezza era da considerare un bene e che bisognava guardarsi dalla corruzione morale. È l’avidità che conduce alla perdizione.
L’evangelista Matteo, che era stato un giudeo esattore di tasse compromesso con il governo romano, non ha demonizzato la ricchezza. Nel suo vangelo non emerge una tendenza di tipo manicheo; la proprietà e la ricchezza sono ammesse. E del resto san Paolo in qualche passaggio delle sue lettere giudica positiva la ricchezza, quando è adoperata per compiere opere di beneficenza.
La prima lettera a Timoteo si chiude con l’esortazione: «ai ricchi in questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi, di non riporre la speranza sull’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché ne possiamo godere; di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera».
Se duro è l’attacco di Gesù contro la bramosia di beni materiali, altrettanto duro è l’attacco contro ogni forma di orgoglio e di sicurezza, quando sono un ostacolo per entrare nel regno di Dio. Nel vangelo di Luca «ricchi», in senso letterale o morale, sono gli avversari di Gesù; essi rifiutano la conversione.
Secondo l’etica dei vangeli, l’umiltà è la dote più importante, sia per il ricco sia per il povero. Non sono i poveri ad avere il monopolio delle disgrazie. Ricchi o poveri, dotti o ignoranti, nobili o proletari… sono tutti chiamati ad entrare nel regno di Dio.
Nel libro dell’Apocalisse la ricchezza è una condizione così elevata che si attribuisce all’Agnello mistico: «degno è l’Agnello immolato di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e lode» (5, 12).
Nell’Antico Testamento Dio stesso esortava il popolo d’Israele, smarrito e profugo nelle terre di mezzo ai fiumi del Tigri e dell’Eufrate: «cercate il benessere del Paese in cui vi ho fatto deportare. Pregate il Signore per esso, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere» Sono parole tratte dalla lettera di Geremia agli israeliti che vivono in Babilonia (Ger 29, 7).
Ma c’è un passo che svela tutto l’ingranaggio del dinamico rapporto tra fede e patrimonio. «Non si disprezza il ladro se ruba per riempire il suo stomaco affamato; ma se viene scoperto, deve pagare sette volte tanto, deve consegnare tutti i beni della sua casa» (Pro 6, 30-31).
La sfida consiste nel prosperare per onorare Dio; tra l’uomo e Dio diviene una questione di onore; ogni tesoro terrestre è per dare risalto a quello celeste; essere ricco è un dono escatologico e ciò, alla fine, non dipende da nessun possesso terreno.
Gli averi, il patrimonio, i beni, insomma, sono di minor conto se paragonati all’onore di fronte a Dio; tanto che san Paolo nel celebre inno della carità dice che dare via i propri beni ai poveri non produce effetti positivi se manca nel cuore l’amore divino (cf. 1 Cor 13, 3). (80)

Salvatore Falzone Sac.