Cozzo Disi, 4 luglio 1916
La più grande tragedia mineraria in Italia
Si contarono 89 morti e 34 feriti
Cozzo Disi, la miniera più grande nella zona di Casteltermini,
in provincia di Agrigento, è certamente quella di «Cozzo
Disi» e qui è stato versato dagli zolfatari il maggior
tributo di sangue e di sofferenze (soprattutto da operai di
Casteltermini e di Campofranco, n.d.d.).
Non molti sanno che proprio a «Cozzo Disi» si è
verificata purtroppo la più grave sciagura mineraria italiana,
con la morte di 89 operai e il ferimento di altri 34.
Oggi siamo in grado di ricostruire cosa avvenne quel maledetto 4 luglio
del 1916 a «Cozzo Disi» e a Serralonga grazie ad un
documento che abbiamo rintracciato nell’archivio di Stato di
Agrigento inventario 9, fascicolo 53, fondo tribunale di Agrigento.
Sentenze penali, anno 1919. Si tratta della Sentenza nella causa penale
contro i presunti responsabili della tragedia di «Cozzo
Disi». L’atto giudiziario è stato emesso il 3 luglio
1919 dal Tribunale penale di Girgenti, composto dai signori Argento
Salvatore, presidente ed estensore, e dai giudici Bagarella Giuseppe e
Alabiso Alfredo.
Alla sbarra Cordaro Giuseppe, di 62 anni di Caltabellotta, direttore
della miniera, il cav. Parisi Attilio di anni 67 di Casteltermini,
esercente della miniera; Cordaro Antonino, di anni 63, di
Casteltermini, capomastro; Papalino Ignazio, di anni 53 di
Casteltermini, capomastro; Palumbo Macrì Vincenzo di anni 68 di
Casteltermini, esercente della miniera. Dovevano rispondere
dell’accusa di negligenza e imperizia nella propria professione e
per inosservanza di regolamenti, avendo cagionato il disastro della
miniera Cozzo Disi e Serralonga, in conseguenza del quale il 4 luglio
1916 perirono 89 persone.
Durante il dibattimento vennero sentiti, oltre gli imputati, anche
nu-merosi testi e vennero lette le relazioni dei molti ispettori ed
esperti chiamati dal Tribunale a studiare le cause della tragedia. I
quindici fogli ormai ingialliti del manoscritto ci raccontano con
precisione cosa avvenne quel caldo giorno di luglio in quelle maledette
gallerie.
“4 luglio 1916 – esordisce la sentenza – verso le ore
13 e trenta, mentre gli operai – in numero di oltre cinquecento
– delle due miniere di Cozzo Disi e Serralonga di Casteltermini
lavoravano si udì un primo formidabile boato con un violento
colpo d’aria, contemporaneo sviluppo di idrogeno solforato (agro)
e di grisou (antimonio) il quale a contatto delle lampade a fiamma
libera degli operai diede luogo a ripetute esplosioni.
Gli operai che lavoravano al primo e al terzo livello della Cozzo Disi,
spaventati fuggirono; molti di essi riuscirono a mettersi in salvo per
la via di sicurezza e gli altri che presero vie diverse vennero fuori
per lo più ustionati dal grisou. Gli operai che lavoravano nella
sezione Giambrone, in numero di 66 perirono, com’è da
ritenere, per ustioni, per asfissia, per avvelenamento prodotto
dall’idrogeno solforato e per traumi. Gli operai che, in numero
di ventitré, lavoravano nella vicinante e comunicante miniera di
Serralunga, al primo fragore della Cozzo Disi, fuggirono pel piano
inclinato e percorsi appena 90 metri incontrarono il grisou dal quale
furono investiti e perirono. In tutto le vittime furono novantanove
(n.d.r. qui l’autore ha commesso un errore: le vittime furono 89,
si comprende anche sommando 66 e 23) oltre 34 feriti. “.
Ecco quindi in queste poche righe come si scatenò quel giorno
l’inferno, secondo quanto è emerso nell’aula del
tribunale penale di Girgenti.
La sentenza immediatamente descrive i primi improvvisati tentativi di
portare soccorso agli operai. I soccorritori non poterono procedere
oltre la sezione Giambrone per la presenza di idrogeno solforato. Tra i
primi a scendere nella miniera e avventurarsi nella zona da dove
provenivano le grida di aiuto, la sentenza ricorda il capomastro Todaro
Giovanni, che purtroppo pagò con la vita quel suo coraggioso
sacrificio. Continuarono per ore i boati ed un’alta colonna di
fumo si levò dalla ciminiera di Serralonga.
Nel primo pomeriggio, alle ore 15.00 si formò una prima squadra
di salvataggio, ma anche questa si fermò al secondo livello
perché si avvertì chiaramente la presenza di idrogeno
solforato. Ma alle 17.00 ” poiché qualcuno (della squadra)
riferì che nel fuggire aveva udito dei lamenti, si formò
una seconda squadra di salvataggio – racconta la sentenza –
che entrò per la galleria principale e stava per introdursi
nella direzione della settima traversa, quando, aperta la porta,
avvenne una forte esplosione di gas grisou che ustionò i
componenti la squadra, due dei quali in conseguenza poi
morirono”. Un ultimo tentativo, infine, quel giorno venne fatto
dai minatori della vicina zolfara Scironello, che accorsero appena
uditi i boati. Ma anche questo tentativo fu vano.
Il giorno seguente giunsero a Cozzo Disi i funzionari
dell’Ufficio minerario di Caltanissetta, fra cui il direttore
l’ing. Pompei e l’ing. Mazzelli, ispettore superiore delle
miniere. Venne allora organizzato un nuovo tentativo di salvataggio e
finalmente vennero trovati vivi due operai. Uno di questi però
nelle ore successive spirò. Nove giorni dopo i tecnici capirono
che si era sviluppato nella miniera un incendio e da allora si ritenne
inutile organizzare altri tentativi di salvataggio. Pertanto il 13
luglio fu eseguita la chiusura delle buche della miniera per impedire
che l’incendio prendesse proporzioni più ampie e
pericolose.
Alla pagina quattro la sentenza ci dice che ”un ragazzo, certo
Bufera Vincenzo, che era riuscito a passare dalla Cozzo Disi alla
Serralunga si era rifugiato nella sala caldaia, praticando un foro
nella muratura dell’imbocco, all’undicesimo giorno,
uscì fuori miracolosamente vivo “. Lo storico di
Casteltermini Francesco Lo Bue molti anni dopo ha raccolto la toccante
testimonianza di questo sopravvissuto (che in realtà si chiama
Vutera Vincenzo) e possiamo leggerla nelle ultime pagine del primo
volume del suo libro “Uomini e fatti di Casteltermini nella
storia moderna e contemporanea”.
Anche le successive pagine della sentenza sono di grande interesse
perché descrivono i danni subiti dalle strutture della zolfara,
che erano immediatamente evidenti e furono facilmente costatati dai
tecnici dell’ufficio delle miniere. Leggiamo poi le dure accuse
di testimoni contro gli esercenti della miniera che ”per
ingordigia di lauti guadagni non avevano condotto la miniera a regola
d’arte ed eseguiti i necessari riempimenti dove si lavorava ad
esaurimento”, per cui ” da qualche tempo sì erano
fatte sinistre previsioni”.
Venne ricordato tra l’altro che tre mesi prima, in aprile, si era
staccato un blocco di minerale per un crollo, tredici operai erano
rimasti feriti e uno di essi pochi giorni dopo era morto. Ma numerosi
testi a discarico vennero in soccorso degli imputati, soprattutto
autorevoli esperti come il presidente del Sindacato per gli infortuni
delle miniere, gli ingegneri del reale corpo delle miniere, e tutti
quegli ispettori che nei mesi precedenti avevano visitato la miniera e
durante il dibattimento ”hanno unanimemente assicurato che (la
miniera) era condotta regolarmente ed in perfette condizioni di
stabilità “, né vi era stato alcun segno
premonitore.
Così il Regio ufficio minerario il 24 luglio 1916
presentò al tribunale una dettagliata relazione che spiegava che
centro del movimento e dello sviluppo del gas solforato (agro) fu la
sezione Giambrone della Cozzo Disi, mentre nessuna notizia si
poté avere intorno al punto in cui si sviluppò il grisou
(antimonio).
In ragione di tempo prima avvennero i boati, poi comparve
l’idrogeno solforato e in ultimo il grisou che dovette essere in
enorme quantità…
I colpi d’aria succeduti durante il movimento e più di
tutto gli scoppi di grisou scompaginarono le correnti d’aria del
sotterraneo, ruppero e di-strussero le separazioni fra i diversi
circuiti, le varie discenderie, accomunate per tal fatto alla
ventilazione del sotterraneo perdettero la loro primitiva efficacia e
le ispezioni perciò non potevano completarsi senza mettere in
serio pericolo la vita delle persone”. Detto ciò, la
conclusione era scontata: “conseguentemente impossibile un sicuro
giudizio sulle cause del disastro”.
Altre relazioni vennero presentate nei mesi successivi e una di queste
venne ordinata dal Pretore di Casteltermini e giunse ai giudici del
Tribunale penale di Girgenti il 31 dicembre 1917. Anche questi esperti
ammettevano di non avere ”tale sicurezza di fatti da poter con
coscienza giudicare sulle cause del disastro”. Non era neppure
chiaro per gli ingegneri e i geologi se “grisou fu causa o
conseguenza del crollo della miniera” e se il gas si sia
sprigionato per “fenditura prodotta dal lavoro di qualche operaio
o per franamento generale della miniera”.
Ma in quest’ultima relazione però si esprimeva almeno il
dubbio che la miniera Cozzo Disi fosse stata in precedenza coltivata
razionalmente e probabilmente mancava “di una perfetta
stabilità” e poteva non avere integri i pilastri e
sufficienti riempimenti. Se fosse stata stabile, “gli effetti del
grisou non avrebbero potuto essere così disastrosi come
furono”. Sostenevano infatti quei periti che “la miniera
non era affatto in condizione di perfetta stabilità, che i vuoti
erano irrazionali e contro legge e quindi anche ammesso che il disastro
fu dovuto a sviluppo di grisou, tale gas non trovò nella miniera
quella resistenza che avrebbe dovuto altrimenti trovare e il disastro
sarebbe stato più limitato”. Ma queste considerazioni,
secondo i giudici esprimevano solo ipotesi perché i periti che
avevano redatto questa relazione non avevano potuto in realtà
costatare quali fossero le condizioni della miniera prima del disastro
e si erano lasciati forviare da contraddittorie testimonianze dei
familiari dei minatori morti nel disastro.
È evidente nella sentenza piuttosto il fatto che i giudici
credono che il disastro sia avvenuto per cause naturali e ricordano che
molto probabilmente quel giorno per abbassamento barometrico ed elevata
temperatura (il bollettino meteorologico indicava nel giorno del
disastro una temperatura massima di 43 gradi e mezzo) il grisou
“dall’alto poté abbassarsi ed accumularsi anche
nelle parti alte del piano inclinato della Serralonga, determinando a
Cozzo Disi… al contatto colla fiamma libera delle lampade (degli
operai), una prima formidabile esplosione, seguita da forte scuotimento
della montagna, su cui perciò apparvero nuove fenditure, da
boati violenti, colpi d’aria … I cadaveri e i feriti
presentavano le tracce dei terribili effetti del grisou, di idrogeno
solforato, di violenti atterramenti e di traumi”. Viene ricordato
infine che un’ora prima del disastro, era avvenuta una violenta
eruzione dello Stromboli e ciò può avere esercitato
”una sua influenza nello sprigionamento del grisou nella miniera
di Cozzo Disi”.
In conclusione quindi ”gli elementi del processo non sono
sufficienti a far ritenere che il disastro della Cozzo Disi sia da
attribuire ad imperizia, negligenza ed inosservanza di regolamenti da
parte di alcuni degli imputati nella sfera delle rispettive mansioni
direttive e di vigilanza”.
Gli imputati vennero assolti per insufficienza di prove. (Da “Agrigento ieri e oggi”, 11.7.2014)
Elio Di Bella