Per non dimenticare

Mafia, origini ed evoluzione


Per meglio comprendere le origini della mafia è necessario fare una sintetica carrellata storica delle umiliazioni, sofferenze, ingiustizie e tirannie che il popolo siciliano ha dovuto subire sin dall’antichità, a causa delle continue invasioni. La prima invasione si verificò verso l’anno mille a.C. ad opera dei Siculi, popolazione del Sud-Italia che invase la Sicilia orientale, respingendo la popolazione autoctona dei Sicani verso la parte orientale dell’Isola.

Si presume che la parola siciliano derivi dall’unione di questi due primi popoli che abitarono l’Isola. Escludendo i Fenici, i quali si limitarono a creare in Sicilia solo degli avamposti a scopo commerciale, l’altra invasione si verificò verso l’VIII secolo a.C. ad opera dei coloni greci, i quali per sfuggire alle tirannie delle loro città-stato, realizzarono le tirannie nell’Italia meridionale e nella Sicilia orientale, mentre qualche secolo più tardi anche la Sicilia occidentale veniva invasa dai Cartaginesi.

Verso il III secolo a.C. fu la volta dei romani a conquistare l’isola ed a trasformarla nel granaio di Roma. Tuttavia Roma ebbe il merito di assicurare all’Isola un lungo periodo di pace che fu interrotto dall’invasione dei Vandali che si verificò verso il 400 d.C. e degli Ostrogoti verso il 500 d.C., i quali depredarono e razziarono tutta l’Isola.

Fortunatamente l’invasione dei Barbari fu fermata dai Bizantini, rappresentanti dell’impero romano d’oriente, i quali regnarono in Sicilia sino all’arrivo degli Arabi. Verso il IX secolo gli arabi avevano conquistato quasi tutta la Sicilia, dimostrando di essere gli unici invasori ad avere apportato grandi benefici al popolo siciliano, spezzettando il latifondo ed introducendo la coltura di nuove piante come l’arancio, il cotone, e nuovi metodi di coltivazione che fecero risorgere l’economia dell’Isola.

Intorno al 1050 fu la volta dei Normanni a conquistare la Sicilia, essi pur dimostrandosi grandi fautori della cultura e dell’arte, introdussero la piaga del feudalesimo. Verso il 1200 ai Normanni succedettero i Francesi guidati da Carlo d’Angiò, contro il quale per la prima volta i siciliani si ribellarono nell’anno 1282 (Vespri Siciliani), conquistando l’indipendenza.

Tuttavia l’indipendenza si dimostrò peggio delle varie invasioni, in quanto i baroni locali fecero sprofondare l’Isola nella miseria e nella anarchia feudale.

Per cui fu facile per gli Spagnoli, verso il 1400, impadronirsene ed installare dei vicerè. I quali accentuarono lo stato di miseria dell’Isola. Verso la fine del XVII secolo la Sicilia fu accorpata al regno di Napoli, sotto la casata dei Borboni che la governarono con dispotismo illuminato sino all’arrivo di Giuseppe Garibaldi.

Nel 1860 Garibaldi con i suoi mille volontari riuscì a scuotere il malcontento popolare ed a liberare l’Isola dai Borboni, grazie all’aiuto dei contadini e della gioventù siciliana (i picciotti) i quali morirono a migliaia per liberare l’Isola. Per ringraziare la massa rurale, Garibaldi si prodigò per la ripartizione delle terre e l’abolizione di alcune tasse. Sebbene i patrioti siciliani abbiano contribuito notevolmente alla liberazione del Meridione, furono molto delusi dall’Unità d’Italia, a causa del re Vittorio Emanuele II, il quale si rivelò essere uno dei più crudeli invasori che i siciliani abbiano mai avuto.

Questo crudele dittatore per risanare le casse dello stato sabaudo trattò la Sicilia come una colonia da sfruttare, per cui non solo ripristinò le tasse che Garibaldi aveva abolito, ma installò un regime fiscale così opprimente che fece rimpiangere ai siciliani il governo dei Borboni. La goccia che fece traboccare il vaso fu il servizio militare obbligatorio in un esercito che i siciliani consideravano invasore, per cui la maggior parte dei giovani preferì darsi alla macchia.

La repressione del governo sabaudo fu crudele e feroce, migliaia di disertori siciliani furono uccisi o imprigionati.

Fu in questo contesto di massima miseria, sofferenza ed umiliazione che nella Sicilia occidentale alcuni siciliani fondarono una società segreta detta “mafia”, il cui scopo inizialmente era quello di aiutare economicamente quelle famiglie più angariate dallo stato. Tant’è che la stessa parola mafia in realtà significa tana, rifugio, per i più bisognosi.

Purtroppo, dopo alcuni anni, questa società segreta cadde nelle mani dei cosiddetti “galantuomini” i quali si servirono della mafia per sfruttare ancor di più il bistrattato popolo siciliano, che si ritrovò sfruttato da tre padroni: i grandi proprietari terrieri che a fine anno pretendevano dai loro mezzadri la metà dei raccolti, l’altra metà veniva confiscata dallo stato sabaudo e se rimaneva qualcosa veniva loro derubato dalla mafia.

In questo clima di totale miseria e sofferenza, alcun siciliani, muniti di valigia di cartone, riuscirono a fuggire nell’America del Sud e successivamente anche in quella del Nord; ma la maggior parte sprofondò nel totale abbandono e nella assoluta arretratezza.

Bisognerà aspettare l’avvento del Fascismo per liberare il popolo siciliano dalle varie tirannie. Dopo la fine della prima guerra mondiale l’Italia, sebbene vincitrice, subì una grave crisi economica che portò alla fine al governo Mussolini, il quale per debellare la mafia nominò il superprefetto Cesare Mori, che riuscì in pochi anni a far arrestare tutti i mafiosi della Sicilia occidentale. Tant’é che nel ventennio fascista non si sentì più parlare di reati di mafia.

Allorché il superprefetto cominciò ad arrestare anche gli intoccabili, venne immediatamente trasferito. Praticamente i cosiddetti galantuomini si salvarono perché riuscirono a nascondersi nel partito delle camicie nere.

Ma allorché l’Italia fascista cominciava a capitolare i capimafia furono i primi a cambiare casacca e ad accordarsi con i capimafia siculo-americani, al fine di agevolare lo sbarco americano che avvenne nel luglio 1943.

Grazie alla mafia che aveva saputo sobillare il popolo, gli angloamericani riuscirono a conquistare l’Isola con pochissime perdite.

Per ringraziare la mafia, gli americani si premurarono di fare eleggere come sindaco di quasi tutti i paesi siciliani i vari capimafia, legalizzando di fatto la mafia che non solo ricominciò a terrorizzare i contadini, ma si evolvette dedicandosi anche al contrabbando di sigarette, traffico di droga, estorsioni e qualsiasi altro affare dove giravano soldi.

Il periodo postguerra fu un periodo durissimo per il popolo siciliano, caratterizzato da un’assoluta povertà e sfruttamento. Ancora una volta il misero popolo siciliano, assieme a tanti altri italiani, cercò salvezza nell’espatrio.

Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta si verificò un esodo di siciliani nell’Europa del Nord, nelle Americhe, Australia, ma un numero ragguardevole emigrò nell’Italia del Nord. In ogni paese i siciliani si adattarono a svolgere i lavori più pesanti e più umili.

Tuttavia tanti non dimenticarono le proprie origini e cominciarono a portare i loro risparmi in Sicilia al fine di fabbricarsi l’agognata casetta e un po’ di terra.

Non furono solo le leggi che lo stato fece a favore del Sud, come la riforma agraria, lottizzazione delle terre ed istituzione della cassa del mezzogiorno, i cui fondi finivano nelle mani dei mafiosi al potere, ma furono soprattutto i miseri risparmi che ogni migrante inviava nella terra natia a provocare il famoso boom economico degli anni Sessanta. Da alcuni anni, purtroppo, il fenomeno migratorio è ricominciato, ma non sono più i poveri contadini ad emigrare, ma giovani diplomati e laureati che cercano lavoro nei paesi più evoluti, alla ricerca di un lavoro libero senza l’opprimente cappa mafiosa.

Anche se tra gli anni Ottanta e Novanta, grazie alle rivelazioni dei pentiti come Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno ecc., i quali ruppero il muro dell’omertà e grazie soprattutto al sacrificio di magistrati di ferro come Falcone e Borsellino e tanti uomini delle istituzioni, la mafia venne decimata nei vari maxiprocessi, ma mai del tutto debellata.

Oggi pensare di sconfiggere totalmente la mafia è soltanto una utopia, in quanto essa non è soltanto una semplice organizzazione criminale, ma è come un’edera che si è abbarbicata in ogni ramo delle nostre istituzioni, riuscendo a far parte persino di quelle istituzioni ufficialmente delegate a debellarla.

L’arresto di alcuni mafiosi, tramite le varie retate che ogni tanto sentiamo al telegiornale, non scalfiscono minimamente le organizzazioni mafiose le quali rimangono le uniche aziende il cui bilancio non chiude mai in passivo.

Forse una tenue speranza di sconfiggere la mafia, in un lontano futuro, risiede nel sapere inculcare sin dall’età prescolare i più fondamentali insegnamenti cristiani ed etici alle nuove generazioni.

Salvatore Butera