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100
anni
fa
un prete fondava il Partito Popolare Italiano
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Luigi Sturzo, spiritualità civica e
personalità multitasking
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di Massimo Naro
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La spiritualità civica di Sturzo
restava pienamente compatibile con il suo ministero sacerdotale, ma
non si rassegnava a rimanere intimistica o levitica, esclusivamente
interna a un orizzonte sacrale. Sostenuta da una salda consapevolezza
samaritana, tendeva piuttosto a zampillare da una fontana posta al
centro della città. Voleva radicarsi sul piano sociale, respirando
l’afflato della passione civile
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Quello appena iniziato è l’anno di
don Luigi Sturzo: ad agosto sarà ricordato il sessantesimo
anniversario della sua morte e già il 18 gennaio ricorre il
centenario della fondazione del Partito Popolare Italiano e
dell’appello “ai liberi e forti”. In molte parti d’Italia
questi eventi saranno celebrati con pubbliche commemorazioni e con
convegni storici: così, in particolare, in Sicilia, terra alla quale
il prete nativo di Caltagirone rimase sempre legatissimo, e a Roma,
presso l’“Istituto Luigi Sturzo” di via delle Coppelle, che è
la principale delle istituzioni scientifiche dedicate allo studio
della vicenda sturziana e della storia del movimento cattolico
italiano. Saranno buone occasioni non soltanto per recuperare la
memoria dell’impegno civile di Sturzo, ma anche per rivisitare una
stagione politica che non poche analogie va mostrando con quella che
ai nostri giorni stiamo attraversando. E, soprattutto, per recuperare
il senso del popolarismo sturziano, che torna ad essere invocato da
alcuni osservatori come l’antidoto più efficace contro i populismi
di varia matrice che oggi imperversano in Parlamento non meno che
negli altri spazi di pubblico confronto, dalle piazze ai salotti
televisivi, dai social network ai media.
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Anche per la Chiesa italiana sarà
l’occasione propizia per valorizzare la lezione e la testimonianza
di Sturzo, il quale investì – nel farsi carico dei problemi
sociali e politici del suo tempo – la propria sensibilità credente
e la propria comprensione delle esigenze etiche e delle spinte
spirituali contenute nel Vangelo. Non è irrilevante, a tal
proposito, che si sia conclusa da poco più di un anno la fase
diocesana del processo canonico per la sua beatificazione, iniziato a
Roma nel 2002.
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Può forse stupire che si voglia
verificare la possibilità di guardare a Sturzo anche come a un
santo, specialmente se si pensa che egli fu un prete “multitasking”,
immerso in tante fatiche apparentemente estranee al ministero
sacerdotale, intento per esempio – come lui stesso ricordava
autobiograficamente – a capeggiare una manifestazione di migliaia
di contadini per rivendicare i patti agrari, o a dar vita a
cooperative di lavoro e a fondare banche popolari, oppure ancora a
istituire scuole di formazione agraria. Il fatto è che con lui si
afferma finalmente quella che potremmo considerare una spiritualità
“civica”, che nel Novecento avrà i suoi testimoni anche tra le
file del laicato cattolico, a cominciare dal sociologo Giuseppe
Toniolo per giungere al sindaco di Firenze Giorgio La Pira e al
rettore dell’Università Cattolica Giuseppe Lazzati, passando
attraverso uno statista di altissima levatura come Alcide De Gasperi.
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Il significato della spiritualità
civica emerge in maniera emblematica dalla biografia di Sturzo.
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La Rerum Novarum, promulgata da Leone
XIII nel maggio 1891, conteneva un invito che sarebbe presto
diventato una sorta di refrain in seno all’associazionismo
cattolico: “Uscire dalle sagrestie”. Possiamo paragonare questo
input pastorale a quello che, oggi, sulla scorta dell’insegnamento
di papa Francesco, riecheggia quando ci si auspica una Chiesa “in
uscita”, proiettata verso le “periferie umane ed esistenziali”.
Tre anni dopo la pubblicazione dell’enciclica, nel maggio 1894, don
Luigi fu ordinato presbitero. E certamente nel profondo della sua
coscienza aveva già assimilato l’imperativo leoniano, disponendosi
a ripensarlo lungamente negli anni successivi. Da questo humus
germogliò il programma proposto da Sturzo, incentrato – come lui
stesso spiegò nel dicembre 1918, in una delle ultime riunioni
preparatorie del PPI – sulla disponibilità “a scendere
nell’agone sociale e politico con il Vangelo nascosto in petto”:
senza etichette, senza stendardi, laicamente potremmo dire
(aconfessionalmente, preferiva insistere Sturzo), ma con l’intima
aspirazione a recuperare la coerenza tra l’esperienza spirituale,
lo slancio pastorale e la presenza sociale.
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In questa prospettiva, Sturzo considerò
la militanza socio-politica come una maniera “altra” di vivere il
servizio pastorale, come un nuovo modo di “essere prete”, oltre
che di “fare il prete”. Già nei primi anni del Novecento era
stato invitato più volte da suo fratello Mario – che nel 1903 era
divenuto vescovo di Piazza Armerina – a dare un suo contributo
pedagogico per i seminaristi di quella diocesi. E proprio scrivendo
sulla formazione dei seminaristi, egli aveva avvertito la necessità
di una rinnovata spiritualità, molto più radicale rispetto a quella
di impronta devozionale a cui spesso ancora i futuri presbiteri
venivano educati.
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Una spiritualità che strattonava il
prete fuori dalle sagrestie, ma non per gettarlo semplicemente sulla
ribalta sociale, in mezzo agli affari economici e alle lotte
politiche. Piuttosto per ricondurlo al cospetto di Dio e a un
rapporto personale col Signore, che comunque doveva essere ricercato
e ritrovato anche in ambito sociale, in mezzo al mondo, giacché il
mondo stesso è di fatto diventato il posto di Dio a seguito
dell’Incarnazione.
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Perciò Sturzo annotava: “Non bisogna
creare colli torti, né ipocriti tristi, ma sacerdoti il cui
ministero comporta attività per il popolo in tutte le ore, in tutti
i momenti, sempre pronti a lasciar Dio per Dio”. Quest’ultima
frase era una citazione che don Luigi attribuiva a san Francesco di
Sales e che più precisamente risale a san Vincenzo de’ Paoli: in
ogni caso a dei campioni della santità moderna, ormai sporgente
fuori dai conventi e dai monasteri, mescolata tra la gente nelle
strade cittadine. Da questa spiritualità don Luigi si lasciava
spingere sin dentro le fabbriche, nelle miniere come nelle campagne,
tra gli zolfatari e i contadini siciliani. E anche dentro i consigli
comunali e nei municipi, con l’intenzione di arrivare persino in
Parlamento, superando il non-expedit e perciò risolvendo una buona
volta la questione romana, cioè reinserendo attivamente i cattolici
italiani nel confronto politico per il bene comune dell’intero
Paese.
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La spiritualità civica di Sturzo
restava pienamente compatibile con il suo ministero sacerdotale, ma
non si rassegnava a rimanere intimistica o levitica, esclusivamente
interna a un orizzonte sacrale. Sostenuta da una salda consapevolezza
samaritana, tendeva piuttosto a zampillare da una fontana posta al
centro della città. Voleva radicarsi sul piano sociale, respirando
l’afflato della passione civile. Lo spiegava bene lo stesso don
Luigi, nel 1926, esule a Londra, in una lettera a Ernesto Callegari:
“Quasi trent’anni di mia attività per la democrazia cristiana,
nel lavoro di carattere municipale, scolastico, sociale e politico,
per me è stato ed è ancora esplicazione di apostolato religioso e
morale. Non avessi avuto questa convinzione e queste finalità, non
avrei potuto conciliare le mie attività con il mio carattere
sacerdotale e con la mia aspirazione unica di servire Dio”.
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(SIR, 14 gennaio 2019)