“LA
PAROLA” – 8
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«Ma liberaci dal male»
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Questa è l’ultima invocazione del
Padre Nostro. Si chiede la liberazione dal male: Ma quale male? Il
termine greco può essere tradotto in due modi: liberaci dal male,
oppure liberaci dal maligno. È una indeterminazione intelligente,
perché tutti e due i significati sono veri. Il cristiano sa che il
male, che c’è nel mondo e negli uomini, non si spiega soltanto con
la cattiveria dell’uomo. C’è un tentatore che spinge al male. Ma
il cristiano sa anche che non tutto il male è da attribuirsi al
tentatore: il male viene da noi. La formula del Padre Nostro non dice
«liberaci da questo o quel male, da questa o quella cosa cattiva»,
ma «dal male», con l’articolo: dunque il male nel suo significato
complessivo o, forse meglio, nella sua radice. Non è certo il caso
di elencare qui le molte forme del male, sono tante e le conosciamo.
È dunque più utile chiarire alcuni atteggiamenti che il cristiano
deve assumere di fronte al male. Se questi atteggiamenti mancano, la
domanda del Padre Nostro perde la sua verità: non è più una
invocazione sincera, ma, abitudinaria. Il primo atteggiamento è
l’umiltà di riconoscersi peccatori. La serenità poggia sulla
certezza del perdono di Dio, non sull’illusione di essere senza
peccato. È questione di verità e di lealtà. L’uomo ha la
tendenza a scusarsi: il male fa parte della natura dell’uomo, si
sente dire. Il male è inevitabile, è necessario. Non colpa, ma
limite. Il Vangelo non ragiona così. Il male è nostro. Non va
combattuto fuori, nelle cose, negli altri, ma in noi stessi.
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Una frase di Gesù è in proposito
lapidaria: «Dal di dentro, cioè dal cuore degli uomini, escono le
intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri,
malvagità, inganni, impudicizia, occhio cattivo, bestemmia,
superbia, stoltezza. Tutte queste cose vengono fuori dal di dentro»
(Me 7,21-23). Accanto all’umiltà, un atteggiamento di vigilanza:
perché il nostro cammino non può mai dirsi definitivamente
confermato in una direzione. Deviare è sempre possibile. Qualsiasi
uomo, dovunque si trovi, qualsiasi cosa abbia fatto, può sempre
correre il pericolo di tornare indietro. È anche questione di
prendere coscienza della propria debolezza: il male è forte,
conserva sempre il fascino. Per questo si chiede a Dio: liberaci dal
male. Nessuno vince il male da solo. Occorre l’aiuto di Dio. Del
resto il verbo “liberaci” è forse troppo debole. Il senso
letterale del verbo greco è “strappar via”, come se noi fossimo
attaccati al male, incollati, incapaci di scrollarcelo di dosso. Il
male è qualcosa che si accumula, si appesantisce, ci tira sempre più
giù. E tuttavia una incrollabile fiducia. Il Padre Nostro si è
aperto con il nome del Padre e termina con la parola male. Qui sta la
drammaticità dell’esistenza cristiana, tesa - e contesa - tra il
Padre e il male. Ma nessuna paura, perché il Padre è più forte del
male. Nessuna angoscia, perché il perdono del Padre è più grande
del male, persino più certo, più pronto. Accanto all’umiltà, un
atteggiamento di vigilanza: perché il nostro cammino non può mai
dirsi definitivamente confermato in una direzione. Deviare è sempre
possibile. Qualsiasi uomo, dovunque si trovi, qualsiasi cosa abbia
fatto, può sempre correre il pericolo di tornare indietro. È anche
questione di prendere coscienza della propria debolezza: il male è
forte, conserva sempre il fascino. Per questo si chiede a Dio:
liberaci dal male. Nessuno vince il male da solo. Occorre l’aiuto
di Dio.
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Sulla presenza del maligno, il
tentatore, si possono dire molte cose. Ma noi stiamo a quanto dice il
Vangelo. Satana ha tentato anche Gesù. In che modo? Rispondere a
questa domanda è importante per comprendere il senso di “ma
liberaci dal maligno”. Sono note le tentazioni di Gesù nel
deserto. Qui Satana non cerca (almeno apparentemente) di distogliere
Gesù dal suo compito messianico, ma gli suggerisce piuttosto di
svolgerlo servendosi del prestigio e della potenza. Satana cerca di
distogliere Gesù dall’obbedienza alla parola di Dio, non subito e
direttamente dal suo compito messianico. Anzi: moltiplicare E difatti
a ben guardare la tentazione è sottile. Per due volte Satana si
rivolge a Gesù dicendogli: «Se sei Figlio di Dio...». Per Gesù
essere Figlio si esprime nell’obbedienza e nella dedizione al
Padre. Per Satana invece l’essere Figlio significa poter disporre
della potenza divina a piacimento e per la propria gloria. La
pericolosità della tentazione sta anche nel fatto che Satana non
parla a nome proprio, non oppone la parola di Dio alla propria
saggezza, ma si sforza - ingannando - di partire dalle Scritture,
pretendendo presentarsi con il sostegno della stessa parola di Dio:
nel deserto Satana cita le Scritture. È sorprendente, ma è proprio
così. E qui sta la pericolosità della tentazione, in questa
furbizia del maligno. La tentazione è suggerita da Satana, ma
proviene al tempo stesso dall’interno, da una distorta lettura
delle Scritture sempre possibile, che può persino portare a una
capovolta concezione della gloria di Dio. In ogni caso, il Vangelo sa
molto bene che la tentazione di Satana nel deserto ha trovato altri
portavoce. Per esempio, gli avversari, che per “tentarlo” gli
chiedevano un “segno dal cielo”, cioè una convincente
affermazione di potenza E difatti a ben guardare la tentazione è
sottile. Per due volte Satana si rivolge a Gesù dicendogli: «Se sei
Figlio di Dio...». Per Gesù essere Figlio si esprime
nell’obbedienza e nella dedizione al Padre. La pericolosità della
tentazione sta anche nel fatto che Satana non parla a nome proprio,
non oppone la parola di Dio alla propria saggezza, ma si sforza -
ingannando - di partire dalle Scritture, pretendendo presentarsi con
il sostegno della stessa parola di Dio: nel deserto Satana cita le
Scritture. È sorprendente, ma è proprio così. E qui sta la
pericolosità della tentazione, in questa furbizia del maligno. La
tentazione è suggerita da Satana, ma proviene al tempo stesso
dall’interno, da una distorta lettura delle Scritture sempre
possibile, che può persino portare a una capovolta concezione della
gloria di Dio. In ogni caso, il Vangelo sa molto bene che la
tentazione di Satana nel deserto ha trovato altri portavoce. Per
esempio, gli avversari, che per “tentarlo” gli chiedevano un
“segno dal cielo”, cioè una convincente affermazione di potenza.
Oppure la folla, che lo circonda e pretende strumentalizzarlo,
piegandolo alle proprie attese. O anche, e direi soprattutto, lo
stesso discepolo: quando Gesù ha predetto la sua fine che doveva
essere tradito, rinnegato, condannato, crocifisso, ma poi risorto
Pietro chiamandolo in dispare gli disse: “Non ti accadrà mai
questo” e Gesù, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò
Pietro e disse: “Via da me, Satana! Perché non ragioni secondo
Dio, ma secondo gli uomini” (Me 8,33). Pietro, volendo distogliere
Gesù dalla via della Croce (ancora una volta non si tratta di
distogliere il Cristo dal suo compito messianico, bensì di
indicargli una via più facile per svolgerlo) ripropone esattamente
la tentazione di Satana nel deserto. Una tentazione sottile, che
viene dal di dentro del gruppo. Una tentazione definita satanica
(«via da me, Satana») ma che poi - in realtà - non è altro che un
“ragionare da uomini”. Ciò che viene da Satana e colpisce al
cuore la verità di Gesù può apparire ragionevole al punto che il
discepolo se ne fa portavoce senza accorgersi, o addirittura pensando
di servire il Signore. Se così, è veramente importante pregare
continuamente dicendo: «, Liberaci dal Maligno, Padre». Amen.
(fine).
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Diac. Vincenzo Esposito