- No
ai confrati in odor di mafia. Un nuovo decreto arcivescovile a
Palermo
- Massimo
Naro
- L'intervento
di don Massimo Naro sul recente decreto arcivescovile di mons.
Lorefice per impedire ai mafiosi di iscriversi alle confraternite
nella diocesi
- È
stato pubblicato nei giorni scorsi un decreto «sull’appartenenza
alle confraternite» a firma dell’arcivescovo di Palermo, Corrado
Lorefice. In prima battuta vi si riconosce la valenza educativa
dell’esperienza confraternale, che per secoli ha formato e ancora
oggi – quando non scade in mero devozionismo – forma alla vita
cristiana intere generazioni di credenti, nel solco umile eppur
fecondo della pietà popolare. Ma è evidente che in esso la
questione principale è l’affiliazione mafiosa, intesa come
alternativa all’appartenenza ecclesiale.
- Altri
vescovi siciliani, recentemente, hanno emanato analoghi documenti,
insistendo sull’incompatibilità tra una condotta di vita non
corrispondente alle esigenze etiche del vangelo e la «professione»
del confrate: l’allusione è proprio all’adesione mentale alla
subcultura mafiosa e, a maggior ragione, al coinvolgimento effettivo
nelle cosche e nelle altre associazioni criminali, oltre che nelle
logge massoniche, parimenti non consone all’ideale confraternale
(non tanto perché non abbiano a cuore i più sacri valori umani, che
sono pure quelli evangelici, quanto perché propugnano una concezione
di Dio che non è precisamente quella agapico-trinitaria delle Chiese
cristiane).
- Questo
nuovo decreto, però, è il primo che recepisce la lettera collettiva
«Convertitevi!», che l’episcopato dell’Isola ha pubblicato il 9
maggio scorso per ricordare e rilanciare l’appello alla conversione
rivolto da Giovanni Paolo II ai mafiosi (e non solo), nel 1993, ad
Agrigento. L’arcivescovo di Palermo ne riprende un passaggio
significativo: «Non possiamo tollerare che le festività di Cristo
Gesù, di Maria Madre sua e dei suoi santi degenerino in feste
pseudo-religiose, in sagre profane, dove – nella cornice di subdole
regie malavitose – all’autentico sentimento credente si
sostituiscono l’interesse economico e l’ansia consumistica, e
dove non si tributa più onore al Signore ma ai capi della mafia».
Da questo input deriva chiaramente la riformulazione che egli ne
propone a sua volta, ammettendo «imbarazzanti e inaccettabili
tentativi di fare delle confraternite centri di una pratica
fintamente religiosa per puro esibizionismo e folklorismo, di
esercizio di potere e, perfino, un alibi per persone di dubbia
moralità sociale ed ecclesiale».
- D’altra
parte il decreto esce dopo l’importantissimo evento ecclesiale
rappresentato dalla visita apostolica di papa Francesco alla Chiesa
palermitana nel venticinquesimo anniversario del martirio di don
Puglisi. Non per niente vi sono citate alcune affermazioni proferite
in quell’occasione dal pontefice, che stigmatizzano l’incoerenza
di chi – come i cosiddetti «uomini d’onore» – dice di essere
cristiano e al contempo delinque gravemente e coltiva una visione del
mondo basata sulla corruzione più incallita, sulla sete di vendetta,
sulla pratica della violenza: «Chi è mafioso non vive da cristiano.
Oggi abbiamo bisogno di uomini e di donne di amore, non di uomini e
donne di onore».
- A
dimostrare il tenore “antimafia” del documento è soprattutto la
parte normativa, tutta incentrata sugli obblighi cui i confrati
dovranno ottemperare: avere una certificata «fedina penale pulita»,
ricavata dal casellario giudiziale, e ottenere dai parroci
un’ulteriore lettera d’idoneità che attesti la necessaria e
sufficiente probità morale e la disposizione spirituale a fare un
cammino illuminato dalla fede. Al netto del tono burocratico, è qui
che emerge la serietà con cui il decreto considera l’appartenenza
alle confraternite, equiparandola all’impegno ecclesiale attivo e
all’assunzione di responsabilità pubbliche dentro la comunità
cristiana, al pari del padrinaggio battesimale. La «professione di
confrate» viene quasi riconosciuta come una consacrazione religiosa,
alla quale accedere solo se si è degni di essa.
- È
certamente un bel progresso rispetto a qualche anno fa. E può
diventare persino uno stimolo per rendere più seria la scelta dei
padrini di battesimo e di cresima. Sempre che non finisca allo stesso
modo di tante sagrestie, in cui spesso si concedono superficialmente
i certificati di idoneità a chi, pur non sapendo e non apprezzando
l’abc del cristianesimo, è ammesso ad accompagnare i più giovani
nell’avventura credente. Si dovrebbe tornare a una certa serietà
pastorale anche in quell’ambito, che sta a monte delle altre
dimensioni della vita ecclesiale. A cosa varrebbe altrimenti tenere i
mafiosi alla larga dalle confraternite?