Pagine di Storia
Antonino Nicastro combattente in Africa Orientale nella II Guerra Mondiale
Il caporal maggiore Antonino Nicastro, nato a Sutera da Lucio e Gesua Alessi il 10 novembre 1911 e residente in via S. Agata 72, ha combattuto prima nella guerra contro l'Etiopia e poi contro gli inglesi nella seconda guerra mondiale finendo loro prigioniero in uno dei campi dell'est Africa.
Si era arruolato come volontario nella finanza il 14 dicembre 1929 per una ferma complessiva di tre anni, poi prolungata fino al 9 marzo 1934.
Il 15 settembre 1935 si imbarca a Genova sul piroscafo Calabria col 504° battaglione mitraglieri Assietta diretto a Derna in Cirenaica dove rimane fino al 22 gennaio 1936; successiva destinazione è Massaua, in Eritrea, raggiunta con il piroscafo Conte Rosso dopo una settimana di viaggio. La guerra d'Etiopia è scoppiata da tre mesi e l'Assietta è impegnata in compiti prevalentemente di protezione, nelle retrovie, delle truppe che avanzano verso Addis Abeba. Il 9 marzo dal campo trincerato di Macallé comunica al fratello Paolino che le cose vanno molto bene, tanto che “fra breve comincerà a rimpatriare qualche divisione e spero che non passerà tanto che arriverà anche il nostro turno”. Infatti la guerrà finirà il 5 maggio, ma la sua unità viene ancora impegnata in azioni di rastrellamento dei ribelli fedeli al negus deposto. Rientra in patria il 28 febbraio 1937. Due anni dopo si imbarca nuovamente per l'Africa orientale come volontario in ferma per due anni e sbarca a Massaua l'8 agosto del 1939. Allo scoppio della seconda guerra mondiale si trova inquadrato nel 10° reggimento granatieri di Savoia al comando del colonnello Alberto Borghesi. Il suo reparto fu impegnato nella invasione della Somalia britannica, conquistata nell’arco di due settimane e mezza nell’agosto del 1940. Con i fucili anticarro catturati agli inglesi formarono dei plotoni anticarro autonomi di volontari.
Il 9 settembre 1941 si trova, come volontario ai plotoni anticarro, in forza all'11° reggimento granatieri di Savoia lungo la frontiera Eritrea col Sudan angloegiziano, sull’altura di Abù Gamel, distante una trentina di chilometri da Tessenei. Qui gli italiani avevano preso l'iniziativa nei primi di luglio occupando alcune località di frontiera. Ma la controffensiva britannica iniziata alcuni mesi dopo costringe gli italiani a ritirarsi ordinatamente per accorciare il fronte e renderlo più difendibile. Durante il ripiegamento venne aggregato alla squadriglia auto corazzata Amara comandata dal tenente Antonelli, con la quale partecipò alle battaglie lungo la strada che da Tessenei porta a Barentù. Proseguendo per Adi Ugri e poi Asmara, il suo plotone venne inviato sul fronte di Cheren per essere impiegato nei punti più minacciati dal nemico. Alle fasi finali della battaglia, di fatto terminata il 27 marzo 1941 per il progressivo esaurimento delle forze italiane, non partecipò comunque il suo plotone perché trasferito ai primi di marzo ad Addis Abeba e fatto proseguire nell'Harar fino alle posizioni avanzate di Goggia, a contatto col nemico insediato a Giggica.
Ma “al momento di abbandonare Goggiar, mentre per ordini superiori tentavamo di raggiungere una posizione, dalla quale avremmo dovuto proteggere la ritirata del grosso delle truppe, venimmo attaccati da ingenti forze corazzate nemiche e tagliati fuori dal reparto. Dopo dura lotta, il grosso si metteva in salvo da una parte, mentre io e i granatieri Dedola e Morgante, riuscivamo a metterci in salvo dalla parte opposta. Ci trovammo così, per tre giorni sperduti dal reparto, in posti ove non si conosceva né luoghi, né lingua, soggetti a tutte le insidie che in quel periodo quei posti offrivano, armati soltanto dal desiderio di raggiungere il reparto, che sapevamo ripiegava su Fiambiro.”
Quando la sera del terzo giorno raggiungemmo il reparto sulle alture di Fiambiro e raccontammo al nostro comandante di plotone le nostre avventure, questi ci accompagnò dal comandante la colonna, dicendo: propongo questi tre ragazzi per una decorazione al valor militare. Motivazione: “La loro arma sempre prima a sparare. Dopo tre giorni sperduti dal reparto, incuranti della fame e dei pericoli, riuscivano a riportare seco anche il fucile anticarro e rispettive munizioni. Durante questi tre giorni, prendevano il comando di 16 ascari sbandati; ed in una pianura nella zona di Sagaré radunavano e conducevano loro 13 muli nazionali abbandonati. Il terzo giorno mattina, attaccati dai ribelli, riuscivano a metterli in fuga, catturando loro due muletti carichi di viveri, vestiario e munizioni, tra i quali 35 bombe a mano Breda e una cinquantina di fucili Malligher”. Il comandante chiedeva che questa situazione gli fosse ricordata appena giunti ad Harar (città capoluogo del territorio Harar), dove si sarebbe riformata la linea di comando.
Il 27 marzo 1941, dopo sette mesi ininterrotti di prima linea, mentre tentavano di oltrepassare la città di Harar passando per la boscaglia, vennero fatti prigionieri. L'ultima lettera da uomo libero recapitata alla moglie Angelina recava la data dell'otto marzo. Fu portato in Kenia nel campo di concentramento n. 353 di Gil-Gil, a 2.000 metri di altezza sul livello del mare, a 180 km da Nairobi.
Sulle utilità delle azioni svolte dai prigionieri è interessante la consultazione del sito www.prigionieriinkenia.org: “Il campo 353 di Gilgil ospitava 250 prigionieri italiani, tra i quali c’erano molti operai specializzati. Sono loro che hanno costruito i ponti sui fiumi Malewa e Moridat, che sono ancora in uso, pur essendo stati riparati da allora. Hanno anche costruito strade asfaltate e asfaltato il campo per le esercitazioni militari della caserma di Gilgil. Si puo’ concludere che i prigionieri italiani hanno contribuito allo sviluppo attuale della città di Gilgil costruendo l’infrastruttura che forma la base di quella attuale (dalla Relazione Melis)”. Il prigioniero n. 90502 rimase in Kenia fino al novembre del 1946. Nel tempo libero imparò a fare il sarto e a rendersi utile ai compagni ed agli ufficiali. Uno di loro, Renato, da poco rientrato a Milano dove comunque aveva trovato lavoro, non riuscì a dimenticare quei tempi “felici” dell'esperienza africana e scrivendo all'amico Nino manifesta l'intenzione di tornarvi da uomo libero per sempre. Il mal d'Africa!
Oltre alla moglie ed alla figlia Gina, Nino ebbe la gioia di abbracciare per la prima volta anche Maria, l'altra figliola nata qualche settimana dopo la sua partenza.
Fu decorato di due croci al merito di guerra per la campagna di Etiopia del '36 e per la seconda guerra mondiale.
Mario Tona