Seme di senape
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Da Natale a Pasqua
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Il percorso liturgico, da Natale a
Pasqua, è una pedagogia del tempo cristiano. Nel periodo natalizio
s’è visto pure come le espressioni plastiche della pietà
riconducano i fedeli all’invisibile mistero.
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In effetti l’Incarnazione del Verbo
eterno ha reso comprensibile il mistero di Dio. Ciò che appariva
indecifrabile, ora grazie alla testimonianza del Messia si può
raccontare.
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È vero che da un lato, secondo la
sapienza biblica, è opportuno non tenere nascosti i misteri di Dio.
Da un altro lato però i segreti imponderabili sono svelati dal
profeta Daniele al fine di introdurre al mistero escatologico.
Esistono sì gli arcani disegni e Daniele ne offre una visione
anticipata. È il futuro di Dio che si prepara.
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Nel tempo della sua predicazione il
Messia avanza: non viene per terrorizzare gli uomini, ma per
sollecitare tutti a vivere nella sua grazia.
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San Paolo per certi versi si ricollega
alla linea profetica ed escatologica di Daniele. Pur adoperando il
lessico misterico, nelle sue lettere vi innesta il linguaggio
apocalittico.
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L’apostolo Paolo mostra che Dio nella
sua sapiente previsione predispone la croce di Gesù Cristo per
glorificare gli uomini alla fine di tempi. In particolare secondo
l’apostolo si dà compimento ad aspetti nuovi della vita cristiana
al fine di avvicinarsi meglio all’avvenire di provvidenza che Dio
dispone per noi (cf. 1 Col
1, 24-28).
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Il tempo della quaresima e della pasqua
ci introduce per una via dolorosa alla celebrazione della natura
umana in grazia di Dio. La Chiesa nobilita la dignità umana e
connette la condizione umana al trionfo di Gesù risorto. È questa
«la gloriosa ricchezza del mistero», per usare le parole di san
Paolo.
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Prendendo a prestito la cultura del
Rinascimento italiano si potrebbe dire che la Chiesa è «omnis
pietatis et dignitatis magistra». In tal senso i papi umanisti, come
Niccolò V e Pio II, entrambi del secondo Quattrocento, hanno
lasciato un’eredità.
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La Chiesa universale si pone in rapporto
alla società in un duplice senso: prima apprende dalle proprie
fragilità per lenire con dignità le ferite e le sofferenze che la
travagliano; poi testimonia le forme di pietà da esprimere in ogni
ambito del vivere umano.
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Sembra che, quando Erasmo da Rotterdam
considerava l’azione cristiana come «artificium pietatis», si
rivolgesse al senso più alto dell’amore in Cristo Gesù.
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«Artificium pietatis» non è esercizio
vanesio del culto o esibizione virtuosistica, ma solida perizia
nell’adempiere i riti, nell’esercitare le virtù, nel sostenere
la carità sociale, nel compiere le opere di misericordia.
L’«artificium» non significa camuffar mediante le belle arti,
quanto costruire un’immagine della realtà a partire dall’«imitatio
Christi».
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E attraverso il mistero cristiano si
confidava pure di far «bonae litterae resonare».
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Sac. Salvatore Falzone