I festeggiamenti di S.
Paolino a Sutera fino all’Ottocento (foto)
raccontati da Gaetano
Nicastro
Il
martedì di Pasqua di ogni anno, secondo la costante tradizione, ricorre il
giorno in cui nell'anno 1498 le reliquie dei Santi Compatroni passarono
dall’urna di noce, dov'erano rinchiuse, in quella d'argento fatta costruire a
proprie spese dalla nobile famiglia Pugiades come avanti abbiamo detto.
La
fede e la venerazione che i suteresi avevano per S. Paolino, per le continue
grazie che ottenevano, li avevano entusiasmati talmente, che sarebbero stati
capaci di sfidare financo la morte in sua difesa.
Il
giorno in cui si solennizzava la festa era per i suteresi il giorno più bello
più felice di tutto l'anno. Tutto si tralasciava in quel giorno: i lavori di
campagna e gli affari urgenti, che avessero compromesso anche gl'interessi più
vitali d'una famiglia.
I
nobili, i ricchi, il Clero, le Congregazioni, il Municipio, l'artista, il
contadino, il vecchio, il fanciullo, la donna, le fanciulle, tutti correvano
quel giorno sul monte S. Paolino, per tributare al Santo Compatrono
l'attestazione della loro fede e della loro venerazione.
Le
fiere o i mercati della Sicilia si aprivano con la festa di S. Paolino, per cui
la gente di tutte le provincie dell'isola, accorreva in Sutera per la compra o
la vendita di animali grossi e minuti e per quella delle masserizie, degli
attrezzi di campagna, delle stoviglie, dei tessuti, degli oggetti d'oro ecc.
ecc.
Non
mancava la tradizionale cubaita (torrone), né i giuochi delle palle, delle tre
carte, della bassetta ecc. che gli strilloni annunziavano con la loro voce
squillante e ritmica.
Accorrevano
da ogni parte della Sicilia, i fedeli cristiani, portando doni al Santo, per le
grazie ricevute o per guadagnarsi, con un viaggio a piedi, delle indulgenze, o
per venire a godere un giorno di gaudio mistico meraviglioso.
La
festa veniva coronata dalla poetica processione col suo importante Clero, che
partendo dal santuario, scendeva per la serpeggiante via della Montagna. Apriva
la processione un gran numero di suonatori di tamburi che offrivano
spontaneamente l'opera loro in onore del Glorioso Santo. In ordine poi
d'anzianità, o di dritti concessi, venivano sette Confraternite, in uniforme,
composte ciascuna di buon numero di Congregati, col rispettivo Santo titolare
della Confraternita, con stendardi e croci.
(L’autore
elenca nella nota le confraternite:
1. La Confraternita di S. Vito dalle insegne
rosse e dal piede scalzo.
2. La
Confraternita di S. Leonardo, dalle insegne turchine.
3. La Confraternita del SS. Sagramento,
sotto titolo dello Spirito Santo dalle insegne rosse.
4. La Confraternita del SS. Sagramento sotto titolo di S. Isidoro
dalle insegne bianche.
5. La Confraternita di S. Onofrio, dalle
insegne pavonazzo chiuso e dal piede scalzo.
6. La Confraternita del suffraggio, dalle
insegne nere composta di nobili e civili.
7. La
Confraternita di Maria SS. Degli Agonizzanti dalle insegne verdi.)
Indi
seguivano le Arciconfraternite ciascuna di n. 13 confrati, rappresentanti
l’apostolato di G. C. col rispettivo santo titolare, stendardo, croci e del
tradizionale «Cristo» con la sua fascia di seta cinta ai lombi, tappezzata
artisticamente di oggetti d’oro e circondata di drappi di velluto di seta a
colori, nastri ecc. che, passando sopra tre asticciole conficcate alle tre
estremità superiori della croce, formavano una cappelletta, entro cui, fra
l'armonia architettonica dei drappi, dell'oro e dei nastri multicolori,
spiccava maestosa la preziosa figura di N. S. G. Crocifisso.
L’autore
elenca nella nota le arciconfraternite:
1.
Arciconfraternita di M. SS. Annunziata di cui si sconosce l'uniforme
2.
Arciconfraternita di S. Biagio di cui si sconosce l'uniforme
3.
Arciconfraternita di M. SS. del Monte di cui si sconosce l'uniforme
4.
Arciconfraternita del Salvatore di cui si sconosce l'uniforme.)
Seguiva
dopo il numeroso Clero, composto di molti preti e chierici dei paesi vicini e
di tutti quelli della città: dei frati paesani: Francescani, Filippini,
Carmelitani, Cappuccini e di molti altri dei vicini e lontani comuni venuti
appositamente.
Indi
venivano le Sacre Urne. Poi l'autorità municipali coi rispettivi Giurati e
bandiera stemmata, il mazziere in uniforme rosso portante la mazza d'argento,
che tuttora esiste, i nobili e la musica. In ultimo segue la processione, una
moltitudine di cittadini e forestieri, alcuni dei quali scalzi e piangenti di
commozione per le grazie ottenute.
Non
appena il Corteo così formato si disponeva a partire dalla vetta del Monte, una
salve assordante di mortaretti si sparava a piè del monte, sul colle S. Rocco,
che terminava con lo sparo di altri 12 mortaretti di bronzo più grossi,
cosiddette petriere, che tuttora esistono alti cm: 20 a 30 e relativamente
grosse, che producono un rumore da cannone.
Il
Corteo multicolore, così bellamente composto e disciplinato serpeggiando per la
via della montagna, formava l'ammirazione incantevole di coloro che vi
assistevano di chi non l’aveva mai visto. Il suono melodioso e cadenzato della
campana grande, posta sulla vetta del monte, di quelle della chiesa del Carmine
e di quelle della vicina chiesa Madre, il frastuono dei tamburi, delle musiche,
delle zampogne, delle grida e delle acclamazioni ai Santi, il nitrire dei
cavalli e delle mule, il belare delle pecorelle, il muggire dei buoi, le voci
confuse degli incettatori, completavano lo spettacolo ed inebriava il cuore.
La
processione scesa dal monte, procedeva per una strada solida e piana fra le
campagne, per raggiungere a circa un miglio dell’abitato, la piccola chiesa di
S. Marco. Quivi la sacra Urna rimaneva sino alla domenica successiva, quando
col medesimo accompagnamento, ritornava alla volta della Montagna; faceva un pò
di sosta nell'altra Chiesa del SS. Salvatore a 100 metri dall'abitato del
Rabatello, per la benedizione e pel riposo del corteo, ed infine procedeva per
salire il monte, onde raggiungere il tempio.
Oggi
però che la fede cristiana è seriamente scossa dal cosiddetto progresso, della
sedicente libertà di pensiero, della maldicenza contro la Religione, del poco
amore verso Dio e della S. chiesa, pel poco rispetto ai Santi ed al clero, sono
venuti meno i pellegrinaggi di devozione e i relativi doni votivi. Anche per lo
sviluppo del commercio, non avendo più bisogno le persone di recarsi nelle
fiere per l'acquisto di quanto loro bisogna, e per tante altre cause, la festa
di S. Paolino non è più quella di una volta.
Ciò
non ostante la festa si solennizza ancora con la dovuta devozione.
Non
manca la fiera del bestiame, né la musica, né lo sparo di migliaia di
mortaretti. Vi interviene l'Autorità Municipale, il Clero dei comuni vicini, le
tre Confraternite, rimaste ancora in vita e un buon numero di venditori
ambulanti: Sellaio, chincagliere, coltelliere, cristallaio e rivenditori di
oggetti di ceramica e di giocattoli.
Dai
comuni vicini accorrono il giorno della festa in Sutera molte persone, sia per
la fede che si ha ancora per S. Paolino, sia per la fiera del bestiame, sia per
la compra di oggetti e sia finalmente per godere della processione, che
scendendo dal santuario per le vie della montagna, offre uno spettacolo
meraviglioso.
E
i suteresi, in cui è sempre viva la fede e la venerazione per i Santi
Compatroni, in quel giorno di fede e di divertimenti sono oltremodo pieni di
gioia. Il giubilo, l'allegria, l'entusiasmo, traspariscono dai loro volti.
Indossano
l'abito nuovo, dimenticano tutte le amarezze della vita e della famiglia,
portano doni al Santo e corrono sul monte, pel tradizionale viaggio di
devozione.
Quel
giorno, imbandiscono una buona tavola, spendono con disinteresse ed invitano a
pranzo i parenti e gli amici forestieri.
Comprano
il tradizionale torrone e tutt'altro che fa piacere ai figlioletti, alla
famiglia ed alla promessa.
Gaetano Nicastro
(Sulla vita e sulle
gesta di S. Paolino vescovo di Nola, Caltanissetta, Stab. Tip. Petrantoni 1922)