Seme
di senape
Come orsa nella campagna
Al
capitolo 17 del secondo Libro di Samuele è narrato come Cusai abbia reso vani i
consigli di Achitofel; quest’ultimo, durante la fase in cui la congiura e la
ribellione di Assalonne erano crescenti al punto che i ribelli avevano un largo
séguito, aveva suggerito di catturare il re Davide tendendo un’imboscata.
Cusai, altro stratega militare di Assalonne, trova che il piano di Achitofel
sia sleale e suggerisce semmai uno scontro faccia a faccia. La posta in gioco fra
i due schieramenti sarebbe alta: ovvero, porre fine alla guerra civile e
assicurarsi il trono.
Cusai
emerge come un uomo che in battaglia cerca lealtà e coraggio. Sa bene che
Davide è spossato da vari episodi di guerriglia e perciò s’è ridotto come un’orsa
nella campagna, allorché le sono tolti i cuccioli. Nel cuore di Davide
l’esasperazione è grande. Achitofel, pronto ad agire a tradimento, cade in
disgrazia e deve lasciare la carriera militare. Quando raggiunge il suo paese
d’origine, si ritira nella sua casa, mette tutto in ordine e si toglie la vita.
È
un episodio minore della storia biblica da cui si può trarre un senso morale.
Se la condotta di Achitofel è sleale, il biasimo cade ancor di più su di lui
perché ha disprezzato il consiglio di Cusai, uomo più ponderato nel valutare le
strategie.
A
volte ci accade che mentre ci troviamo sulla via del bene dove si procede a
passi lenti, ci buttiamo a capo fitto in affari pericolosi, tenuti sotto
l’apparenza del buon ordine. Tale disordine interiore è accompagnato dal tedio
spirituale. In altri termini, perdendo la fiducia di bene operare dinanzi a
Dio, si finisce per gestire con ansia ed arroganza gli affari religiosi. Al
termine di situazioni equivoche, impelagati in zone grigie della vita, c’è la
noia spirituale, se non l’incubo del suicidio.
Nella
letteratura spirituale monastica tale condotta era chiamata con un nome
particolare: acedìa, ovvero accìdia.
È l’impotenza dell’anima abbandonata alla svogliatezza. Nella vita del grande
monaco Macario si racconta che: «in queste guerre [dell’anima] il cuore è
debole e l’uomo non è più in grado di custodire la purezza. Il nemico [il
diavolo] gli presenta la lunghezza del tempo, le fatiche delle virtù e la
durezza della vita, perché grande è la fatica e il corpo è debole. Ma se il
cuore, indebolito in questa lotta e stremato nelle fatiche dei combattimenti,
rigetta lontano da sé il male e invoca Dio con il gèmito della sua anima,
allora il Dio buono e pieno di misericordia per la sua creatura le invia una
potenza santa».
Tale
potenza che viene dallo Spirito Santo è ciò che allontana l’accìdia, fa
rinascere i cuori nella grazia divina e sprona i credenti a compiere il bene. I
santi monaci del deserto si richiamavano all’episodio biblico di 2 Sam 17,10 e
rovesciando l’animo di Achitofel avrebbero detto: «il cuore dei giusti è più
coraggioso di quello dei leoni».
Questo
è il coraggio di Cusai; è un coraggio che deriva dalla santa perseveranza in
Dio e dalla piena dedizione alle responsabilità ordinarie. Questa è l’azione
virtuosa e sollécita che, secondo la filosofia etica di Aristotele, distingue
l’uomo nobile ed equilibrato. (94°)
Sac. Salvatore
Falzone