Semi di senape
Servi senza meriti
Da
alcuni passi della Bibbia (come ad esempio Zac 1,3 e simili) gli scrittori
cristiani hanno tratto alcune considerazioni idonee a comprendere la
cooperazione tra Dio e l’uomo; si ritiene che le creature si salvino, in quanto
corrispondono all’azione di Dio.
C’è
pure la parabola di Gesù, riportata nel vangelo di Luca (cap. 17, vv. 7-10). Si
tratta di quei servi che compiono il loro dovere e agli occhi del loro padrone
rimangono senza meriti particolari.
Sant’Ambrogio
nel suo commento al vangelo di Luca introduce una sorta di adagio che nella
teologia della grazia è stato considerato come un assioma fondamentale. Il
vescovo di Milano esortava i fedeli cristiani a non considerarsi qualcosa di
più, sol perché figli di Dio; anzi –
osservava – che se qualcuno ha adempiuto al suo dovere, non se ne vanti.
Aggiungeva per inciso: «agnoscenda gratia, sed non ignoranda natura» (libro
VIII, paragrafo 32). Quest’ultima frase è divenuta decisiva nella teologia
della grazia; ovvero, «bisogna sì riconoscere la grazia, senza ignorare la
natura».
In
altre parole, il servo può aver consapevolezza del proprio valore, ma ciò non
toglie che la grazia divina sia superiore all’operato delle creature. Il servo
inutile è tale non perché sia un inetto, ma perché s’impegna di volta in volta
in un’azione da cui non può trarre meriti per sé. Egli è letteralmente «senza
utile». La grazia di Dio rimane inesigibile da parte dell’uomo e il Creatore
non è mai condizionato dalle virtù che possono trovarsi nelle creature. La
redenzione dell’uomo è sì un mistero imponderabile, ma non è un enigma oscuro.
Rileggendo
in greco il versetto di Luca (17,10), si nota che l’azione puntuale che compie
o rimane da compiere al servo, è motivo di vocazione, e non di merito.
Ambrogio
si era formato nella carriera tipica di esponenti dell’aristocrazia romana. Non
ci deve sorprendere tanto il suo stile lapidario, la sua robusta cognizione
delle dinamiche umane, la sua formidabile capacità di direzione. Ponendosi
nella linea della cooperazione dell’uomo alla volontà di Dio, egli sottolineava
il valore della natura umana. Un certo atteggiamento dell’etica stoica romana è
travasato nella spiritualità cristiana.
A
risentire della prospettiva di Ambrogio è stato Agostino, divenuto poi vescovo
di Ippona. Nel suo periodo milanese Agostino, già sul punto di corrispondere
alla grazia divina, ha tratto ispirazione dalla condotta del maestro. Tornato
nella provincia dell’Africa proconsolare, Agostino ha sviluppato poi una
complessa ed autonoma riflessione di cui ora prendiamo solo uno spunto.
Corrispondere
alla grazia divina è fonte di diletto. Nell’anima che aspira a Dio e
corrisponde agli impulsi della grazia, si verifica una serena «dilectatio». La
grazia è voce suadènte per l’anima, in grado di persuadére le creature. Ogni
persona, quando avverte che l’amore di Dio è credibile, percepisce pure un
interiore diletto.
(continua)
Salvatore Falzone sac.