Semi di senape

Miris modis

 

Continuiamo la riflessione sulla grazia di Dio col dire che negli scritti di sant’Agostino si intravede il concetto di dilectatio. L’anima che aspira a Dio prova sereno diletto nel corrispondere agli impulsi divini. Si può dire anzi che la carità divina esercita un’attrazione sull’anima che liberamente aderisce e onestamente adempie al disegno di Dio. È in questa prospettiva che possiamo cogliere il passo del vangelo in cui la Vergine Maria esulta di gioia per essere introdotta nel disegno salvifico di Dio (Lc 1, 47).

Il concetto di dilectatio emerge più largamente nel commentario al vangelo di Giovanni (Tract. in Io. Evang. 26, 2-9). È sempre bene tener presente che sant’Agostino è un autore poliedrico e che nel corso della sua vita è tornato più volte a migliorare e ad approfondire i risvolti delle sue riflessioni filosofiche e teologiche. Ad esempio, il nostro maestro, nel pieno sviluppo della sua vita, ammetteva con un certo imbarazzo che quando era ancora sacerdote aveva nutrito delle opinioni vicine a quelli considerati semipelagiani. Questi ultimi sottolineavano la crescente virtù, insita nell’uomo libero che desidera la grazia divina. I maestri più entusiasti e radicali di tale indirizzo ascetico mettevano in primo piano: la bontà della creazione, il libero arbitrio, l’opportunità della legge biblica, il merito delle buone opere.

Ebbene: Agostino teologo non negò i temi più cari agli eretici, ma d’altro canto con più energia affermava e approfondiva le tematiche, come: la redenzione, la grazia, la libertà cristiana, il dono gratuito della salvezza. In tal modo egli prendeva le distanze dai pelagiani, conservando il senso della libertà interiore che rende onore all’uomo in quanto creatura di Dio.

Se teniamo presente che la crisi legata a Pelagio tocca il suo vertice negli anni 417-418, comprendiamo l’orientamento che si sono dati i vescovi confratelli di Agostino, durante il cosiddetto concilio di Cartagine. Nel 418 più di duecento vescovi dell’Africa proconsolare si sono riuniti in forma sinodale. Le posizioni teologiche stabilite in quel convegno (synodus) sono riuscite gradite a suo tempo in varie regioni ecclesiastiche dell’Impero romano.

In particolare, con i canoni 3, 4, 5 (che in modo indiretto hanno ricevuto l’approvazione di papa Zòsimo) sono state respinte le tesi pelagiane; e per converso si può rilevare che come creature in grazia: siamo in grado di fare ciò che abbiamo conosciuto (facere diligamus et valeamus) dover fare.

Nel contesto di diatribe e di polemiche condotte dal maestro di Ippona, la grazia è definita come ispirazione della carità tale che facciamo con santo amore ciò che conosciamo doversi fare. (È un’espressione agostiniana molto simile al dettato dei canoni). E altresì in un altro passo si rileva che l’uomo viene attratto dalla grazia mirabilmente (miris modis). La grazia come aiuto divino è un concetto tipico di sant’Agostino; essa rimuove gli ostacoli che impediscono alla volontà dell’uomo di compiere il bene e altresì sollecita a evitare il male. Più che illuminazione dell’intelletto, la grazia adiuvante è mozione della volontà.

In breve qual è la maniera mirabile in cui operano la fede e la grazia? Vi potremmo rispondere con le parole del teologo gesuita Henri de Lubac: come l’atto di fede è fra tutti gli atti umani il più libero, così l’espressione della grazia è di tutte le forme ecclesiali la più personale. Corrispondere a Dio diviene allora un atto dilettevole e altresì l’obbedienza nella Chiesa diviene espressione di creatività feconda.

Salvatore Falzone sac.