Lo Scotis, un antico ballo popolare a Sutera
Le informazioni su internet raccontano di un ballo fiorito in area
germanica nella prima metà dell’Ottocento, noto come polca tedesca, che
incontrò in Francia e tutta Europa il favore della nobiltà ed esteso
gradualmente alla piccola e media borghesia, poi alle classi popolari
cittadine e rurali.
Il nome invece deriverebbe dagli inglesi che al tempo della prima
guerra mondiale, per non avere a che fare con gli odiati nemici
tedeschi, lo chiamarono Scottish.
In Italia é diffuso in molte regioni, tra cui la Toscana, la Puglia o
la Sardegna con varianti locali, mentre in Sicilia resiste a macchie di
leopardo in vari comuni tra loro molto distanti, dando origine a
differenze anche notevoli ma riconducibili ad uno schema unico di
musica e passi di danza. Nel nostro territorio risulta radicato anche a
Milena, diventato comune autonomo da Sutera nel 1923.
Mario Sarica (etnomusicologo, fondatore e direttore del Museo Cultura e
Musica Popolare dei Peloritani di Messina) lo da presente in Sicilia
dalla metà dell’Ottocento, invece per Sutera ci si accontenta di
testimonianze orali che non possono risalire oltre il 1880. Chi ne
parla oggi racconta di padri o di nonni che lo ballavano fin dalla
giovinezza e che lo hanno insegnato a figli e nipoti.
Abbiamo ricostruito la storia musicale principalmente di due famiglie,
o gruppi di famiglie. La prima è raccontata da Mela Raimondi di 81
anni, figlia con altre due sorelle di papà Luigi, grande ballerino e
voce da tenore che portava in giro “l’atturna”, o serenata, alle
ragazze per se stesso o per conto terzi. Mela era la più grande, ha
imparato da papà ed insegnato a sua volta alle sorelle. Papà era nato
nel 1907 respirando l’aria dei balli dell’epoca: il valzer, la mazurca,
la polca, lo scotis. Il tango era meno atteso, poiché richiedeva una
vicinanza troppo stretta con il partner, sotto l’occhio vigile dei
genitori. La Macchina Parlante era di pochi; ma si ballava lo stesso
nella stanza grande dove c’era l’alcova, anche semplicemente cantando
la melodia. E papà era bravo a fare l’una e l’altra cosa (zia Santa
invece ce l’aveva). Inoltre, chi aveva una famiglia “affamiliata”, come
si diceva di chi aveva molte figlie da sistemare, aveva un motivo in
più per ballare spesso.
Sale da ballo si improvvisavano in casa a cadenza spesso settimanale.
Si chiedeva “permesso” e si poteva salire. Ma il momento più atteso era
il carnevale, più di Pasqua o Natale. Si allestiva per l’occasione il
buffet a cui le donne “mascarate” venivano condotte dopo il ballo,
spesso dando vita a scene esilaranti. Era usanza che la donna mascarata
invitasse un cavaliere senza farsi riconoscere. Il quale, poi, aveva
l’obbligo di portarla al buffet. Uno dei cavalieri, convinto di avere
ballato con la moglie, aveva insistito ad offrire tanti dolci, ma
proprio tanti: perché poi a casa li avrebbero mangiati insieme.
Ma non era la moglie! E non c’era modo di capirlo prima. Chi infatti
provava ad alzare il velo di una mascarata dava inizio ad accese
discussioni con l’accompagnatore, che talvolta degeneravano in lite. Né
mancavano scherzi o vendette di innamorati o presunti tali, disposti
anche a spalmare di sapone le scale che portavano alla sala da ballo
pur di causare qualche imprevisto scivolone ai rivali.
Comunque a casa di Mela lo scotis si ballava spesso, senza aspettare
occasioni o ricorrenze, sia a coppia fissa che con scambio di dama.
I ricordi di un altro gruppo di famiglie, legati a Melina Magro Malosso
e Lillo Magro, tra loro parenti, ci portano ancora più indietro, al
1879, l’anno di nascita di nonna Giuseppina Licata, poi sposata a
Girolamo Maniscalco. E’ lei la ballerina di casa che insegnava a tutti.
Abitava in via Pisciottolo fino al 1934 allorché si trasferì in via
Normanni in una casa che, a pianterreno, dava a Piano Marino. Tutte le
domeniche, nella camera più grande dove si dormiva si smontava il
letto, le tavole venivano appoggiate a due sedie e trasformate in
banchi dove sedersi, lasciando spazio al centro. Gina, la piccola
figliola di cinque anni che diventerà madre di Melina, veniva alzata
sopra l’armadio per evitare di travolgerla e al termine riportata sui
piedi di qualcuno ad imparare il passo dei balli, lo scotis
soprattutto, il preferito, che ancora oggi balla volentieri sia nella
versione base che in quella col fazzoletto o a scambio di dama.
Qualcuno si esibiva in versioni acrobatiche con battito di mani sotto e
sopra la coscia ed ancheggiamento finale: ma dopo avere eseguito tutte
le figure obbligatorie. La Nonna aveva avuto nove figli e trasmesso a
tutti la sua passione per il tango e la tarantella, lo scotis e la
polca, le mazurche ed il valzer, ballato prima in senso orario e poi
antiorario provocando a volte dei giri di testa.
Chi sapeva suonare la chitarra o la fisarmonica, come don Caluzzu e don
Pietro, venivano spesso chiamati e condotti, in quanto ciechi, dentro o
sotto casa e con poco si faceva allegria. C’erano anche il mandolino e
u friscalettu. I grammofoni erano rari. Finché un giorno in casa di
nonna arrivò dall’America un baule pieno di indumenti. E tra essi c’era
una radio! il massimo della modernità, il dono di zio Calogero,
fratello del nonno.
I numerosi discendenti dei nonni Giuseppina e Girolamo Maniscalco
ballano tutti ed ancora lo scotis, che appena viene “chiamato” dalla
orchestrina dell’agosto suterese o, più raramente, in qualche
matrimonio, spinge le persone più mature ad entrare irresistibilmente
nel cerchio di ballo ed eseguire la danza a coppie fisse. Poiché la
musica viene lanciata all’improvviso e non si può perdere neanche una
battuta, non stai lì a cercare per forza un partner dell’altro sesso,
ti accontenti del primo che hai davanti formando delle coppie
uomo-donna o anche donna-donna. Si balla di solito con schema a coppia
fissa. Le altre due varianti (scambio di dama, ballo con il fazzoletto)
sono ancora conosciute, ma raramente eseguite.
Una decina di anni fa, la scuola media ha insegnato il ballo dello
scotis, di cui i suteresi sono tuttora orgogliosi, a tutte e tre le
classi dell’unico corso. Questa trasmissione di musiche e danza tra una
generazione e l’altra merita di essere incoraggiata cercando anche
nuove forme ed occasioni di supporto. Poiché oggi l’ultima generazione
che lo balla con frequenza è intorno ai trenta/quaranta anni.
La descrizione del ballo e delle sue varianti è difficilmente
comprensibile senza un video. Si tratta, come spiega Onofrio Ingrascì,
di una figura musicale che viene conclusa nell’arco di otto battute di
due quarti e ripetuta per tutta la durata della musica. Nelle prime
quattro i ballerini procedono appaiati ed allacciati con le braccia
interne, eseguendo i primi due passi con il piede esterno e i
successivi due con quello interno. Il cavaliere parte col piede
sinistro, la donna col destro. Per consentire i due passi con lo stesso
piede si ricorre ad un veloce salterello intemediato con l’altro piede.
Dopo di che la coppia compie un giro completo su se stessa come un
normale giro di coppia che balla il valzer o una mazurca. Ma comunque
se non hai un video, serve un istruttore.
Il ballo esiste e resiste tra noi da almeno 140 anni. Ed oggi abbiamo
bisogno di una formula o di una ricetta che lo renda attraente ai
giovani trovandogli un posto accanto ai balli del momento.
Mario Tona