La Sicilia della mia infanzia
in otto piccole testimonianze museali
Bella la pubblicazione di Federico Messana- per molti anni Sindaco di
Montedoro- che ne ha curato i testi, e di Giuseppe "Peppuccio" Alba,
fotografo, per l'elaborazione delle immagini (a lui si può chiederne
copia al tel. 3402274267)
Ho sfogliato il libro, letto le parole, ammirato le belle foto. È il mio paese. O meglio, così era il mio paese.
Tutto nel libro parla di un mondo che non c'è più ma di cui noi
Montedoresi siamo pervasi, dei colori mutevoli della campagna, grigia e
brulla in inverno; quella terra resa verde dall'erba appena nata,
gialla di "mazzareddri", rosso scuro di "sulla" in primavera; quella
terra gialla, bruciata d'estate, e di mutevoli colori in autunno.
Quella campagna con i suoi caratteristici odori: con gli occhi chiusi e
facendo ammenda alla diversa temperatura dell'aria si potrebbe
indovinare in quale stagione ci si trovi, l'odore della terra appena
arata, quello emanato dalle stoppie dopo la mietitura che la notte
stellata di fine agosto ha inumidito. Il profumo dei fiori, dei frutti
presenti tutto l'anno.
Ma c'è anche lo zolfo.
Giallo è il suo colore, simile all'oro ma dall'odore acre e velenoso,
se bruciato; quello zolfo estratto da mille miniere che, se diedero una
ricchezza effimera alla nostra terra, furono prematuri sepolcri per
molti nostri fratelli che si addentravano nelle sue gallerie alla fioca
luce delle lampade ad acetilene. Quello zolfo che rese sterili molte
campagne e trasformò in minatori contadini che le avevano da secoli
lavorate: uomini al lavoro sulla terra prima e nelle sue viscere dopo.
Quello zolfo con cui pericolosamente giocammo noi bambini,
costruendo le "spere" in cui pezzetti di quel minerale venivano
incendiati e, sciogliendosi, si trasformavano in lava, che cadeva
nell'acqua di una ciotola e si solidificava dando vita a
fantastiche creature e creazioni. E anche lo scarto sterile di quel
minerale fu utilizzato, per costruire, assieme al suo parente gesso, i
muri delle case e per fare da fondo per le vie del borgo e per le
trazzere di campagna. E poi i racconti che da esso traevano
ispirazione: la mia nascita mi fu raccontata come essere stato trovato,
casualmente, tra due balate di zolfo fuso in giganteschi
lingotti, anziché sotto il più canonico vegetale cavolo o portato
dal volo di una cicogna.
E non per niente molti colti figli delle nostre terre isolane hanno
tratto ispirazione dallo zolfo per ambientare i loro racconti: Verga,
Di Giovanni, Pirandello, Sciascia, i nostri Angelo e Giovanni Petix,
Camilleri.
Ma lo zolfo è elemento luciferino che se per qualche tempo ha
illuminato la nostra terra, poi alla fine, come quell'essere infernale,
le ha presentato il conto dando ai suoi figli tanta pena e dolore.
Questo e altro ancora (storici artigiani e personaggi popolari) troverà
nel libro il lettore che è nato, ha vissuto o ancora vive a Montedoro,
ma anche chi da poco ha scoperto il paese e desidera approfondirne la
conoscenza.
Nicolò Falci