Seme di senape
Della piena gioia

Chi è saggio non si lascia turbare da svenevoli lusinghe o da gesti di cortigianeria. Chi vive adempiendo la legge di Dio, irradia buoni consigli e sulle sue labbra sorgono parole ben misurate. Di tale calibro erano l’italiano Filippo Neri e l’inglese Tommaso Moro.
A sentir una volta uno monaco inglese pare che dopo la spaccatura, creata da Enrico VIII nelle istituzioni ecclesiastiche isolane che si sono allontanate dalla Chiesa di Roma, si sia perso pure una parte del miglior humor.
L’umorismo cristiano è un buon antidoto alla malinconia; se c’è una “tristezza legittima” è quella che si può esprimere riguardo al proprio peccato. L’avere offeso Dio e trovarsi in piena contrizione interiore, comporta sì tristezza, ma risulta una fase di passaggio, di fronte alla grazia che solleva l’anima.
Burla, sarcasmo, stoltezza sono respinti; nella Bibbia nemici di Dio sono chiamati ad esempio coloro che scherniscono quanti si comportano con giustizia e pietà. I beffardi sono destinati alla rovina (Sal 34, 15-16 ed Ez 35, 14-15). In breve, l’allegria degli empi è maligna. Dei giusti che hanno perseverato, nonostante le tribolazioni, si dice che essi possono tenere lo sguardo sollevato verso Dio, gioire di fronte al suo cospetto e contemplare il suo volto, dal momento che godono della vita eterna.
Può rallegrarsi l’uomo che opera con saggezza sulla faccia della terra? Almeno, qualche volta è giustificabile? In Gb 22, 26 si intravede questa possibilità ed anzi più avanti – sempre nel libro di Giobbe – si augura all’empio rovina e disinganno (Gb 27, 11-23). Si direbbe che un po’ di sollievo provi l’anima onesta, quando è giustificata da Dio e goda di stare al suo cospetto (Sap 5, 1). Il giusto – anzi, secondo il lessico cristiano il santo – proverà fiducia e si potrà esprimere con franchezza dinanzi a coloro che l’hanno tribolato. Egli infatti, ricolmato di grazia divina ed esultando di gioia, verrà presentato come testimone di Dio in piena libertà interiore.
Dispensatore di vera e duratura gioia è Dio e grazie al suo intervento la tristezza può mutarsi in gioia (Sal 126, 5). Gesù l’ha confermato nella sua predicazione: la tristezza di un momento si muterà in gioia (Gv 16, 22).
Nel lessico dell’apostolo Paolo la noia è chiamata lýpē: tristezza mortale. L’Apostolo accoglie gli insegnamenti delle sacre scritture a proposito della stoltezza umana. Ai Corinti muove rimprovero perché alcuni vorrebbero dissimulare il mistero della croce di Gesù Cristo. Ciò che appare “stoltezza” di Dio anzi è una realtà più sapiente degli uomini. Non sorprende che a un certo punto Paolo si definisca stolto per amore di Cristo (cfr. 1 Cor 1, 25 e 4, 10). E certi santi considerati “matti” si sono avvicinati a tale mistero.

Salvatore Falzone