Seme di senape
L’ira di Dio palestra di santità

Vi sarà capitato di leggere alcune pagine della Bibbia e di rimanere sorpresi di fronte a episodi di violenza esterna e di conflitti interiori. Anche nei vangeli si possono trovare espressioni che suonano come una minaccia per la mentalità corrente.
Ad esempio, nel vangelo di Giovanni più volte viene richiamato da Gesù colui che si allontana da una vita luminosa, preferendo la corruzione morale e le vie dell’empietà. E inoltre: «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui» (Gv 3, 36).
Nella tradizione monastica tante espressioni oscure del testo sacro sono state interpretate in senso spirituale; in tal modo si voleva pure rafforzare l’ascesi del monaco.
Seguendo il «Discorso ascetico» attribuito a Stefano di Tebe, si ricava che l’asceta è impegnato in una bella fatica. Chi conduce una buona ascesi, fa violenza a se stesso, alla scopo di ascendere al regno di Dio. Diventa così comprensibile che: il regno dei cieli soffra violenza e che i violenti se ne impadroniscano (cf. Mt 11, 12).
È opportuno considerare il senso morale degli insegnamenti monastici; ovvero che il cammino dell’uomo timorato di Dio conduce a spezzare ogni desiderio che lo trascina, come foglia al vento, agitato dai desideri e dalle passioni.
Alla base di partenza vi è solo l’umiltà. Perciò troviamo pure l’esortazione ad acquistare la bella vergogna. Intrapresa la via della lotta spirituale, l’asceta chiede a Dio che Lui stesso combatta contro i nemici che si avventano sul monaco.
Non è un invito alla guerra santa, ricavato da Esodo 14, 13-14 o da Sal 34 (35), 1-2; è la supplica di chi è umiliato dinanzi a Dio a motivo dei peccati commessi e degli sbagli rinnovati. Bisognerebbe, anzi, prendere la colpa degli altri e metterla sul proprio capo, sperando di ottenere misericordia da Dio.
L’ascesi è una palestra che affatica i suoi ginnasti. Per conoscere il buon riposo, cedendo ad un sonno fiducioso in Dio, occorre prima partecipare, se non alla tribolazione ancora lontana, almeno alle fatiche prossime della vita.
Nemico dell’asceta è considerato il demonio e i suoi accoliti perversi; questi sono nemici del genere umano. Nella versione araba del «Discorso ascetico» le espressioni raggiungono una sorta di acme: Dio spezza le ossa dei malfattori, di quelli che agiscono ingiustamente nei confronti degli asceti. Qui c’è una traccia del Sal 52 (53) vv. 5-6. Ancor più dure sono le espressioni del Sal 54 (55) vv. 11-16.
Il santo è proprio colui che ha conosciuto il suo peccato e di conseguenza non giudica più nessuno; e se qualche anima potesse lodare Dio per non essere mai finita nel peccato mortale ancor più elevato diventi in essa il senso di solidarietà che unisce alla miseria umana.

Sac. Salvatore Falzone