Arte contemporanea nissena

I pittori Naif di casa nostra

Sicuramente il produttore e inventore di arte dovrà sapere, comprendere, elaborare, studiare in profondità i molteplici eventi della cultura universale e non dovrebbe risparmiarsi dall’esprimere, nell’opera, l’indispensabile alta qualità tecnica, dettata dal proprio talento artistico. A tal proposito, Giorgio De Chirico indica la combinazione di tre inscindibili fattori affinché si compia un’opera d’arte degna di postumo riconoscimento - (cito a memoria) -: "sapienza, talento e che la mano del Talento Universale si posi sulla testa dell’artista".
Da sempre il fare estetico è il frutto maturo dell’intelligenza coadiuvata dall’abilità operativa. Dalla storia umana si ricava come l’arte distingue l’uomo dalla bestia. Ed è la creatività ad avvicinare l’Uomo a Dio, rendendo credibile la sua somiglianza al Creatore. Se a Dio è permesso la creatività animata a noi è concessa solo quella inanimata. Dunque, il lettore capirà che colui che è avulso dalle questioni che impongono il saper rendere visibile l’invisibile, non potrà albergare nella patria del segno immortale, qual è l’Arte. Insomma gli artista del firmamento universale sono stati, sicuramente, colti, consci e responsabili di impugnare la fiaccola della testimonianza per illuminare il passato nel futuro. Eppure, nell’arte contemporanea, permissiva e disponibile alla comprensione, esiste una casta di artisti privilegiati: i cosiddetti Naif.
Il termine naif deriva dal francese e sta ad indicare colui che è ingenuo. In arte indica quella nutrita schiera di pittori e scultori non professionisti, in genere di estrazione popolare, privi di educazione accademica, ma dotati di un estro creativo immediato e spontaneo. Tale rivalutazione creativa si deve alle spinte propedeutiche determinate dalla riscoperta del "mito del primitivo" esplicitata dalla poetica e dalla vita di Paul Gauguin e dal poeta Arthur Rimbaud che diffusore per mezzo della loro opera, nella cultura occidentale. (Successivamente, negli anni settanta del novecento il "mito del buon selvaggio" (1) fu ripreso da Pier Paolo Pasolini che lo contrappose allo sfacelo del falso progresso ). Gli artisti naif di ieri e di oggi, generalmente, utilizzano un linguaggio che si riferisce alla tradizione figurativa europea, con predilezione per gli aspetti fantastici dagli imprevedibili significati simbolici.
Il capostipite dei naive - come si sa- è Henri Rousseau detto il Doganiere (Laval 1844- Parigi 1910) che abbandonò l’impiego al dazio di Parigi per dedicarsi alla pittura da autodidatta, realizzando opere che descrivono mondi fantastici e tropicali, dipinti con colori irreali e simbolici al di fuori delle regole accademiche. La pittura naive propone una descrizione della realtà attenta e minuziosa ed è caratterizzata da un delicato cromatismo. Il fenomeno naif non è limitato alla sola Francia, ma abbraccia ogni regione del mondo. Fra i suoi maggiori esponenti: i francesi A. Bauchant, C. Bombois, Séraphine de Selins, L. Vivin; gli statunitensi M. Hirshfield e Grandma Moses; gli italiani Antonio Licabue e O. Metelli; e dalla celebre "Scuola di Hlebine" ricordiamo gli artisti iugoslavi I. Generalic, Ivan Rabuzin. E fra i maggiori artisti naive di Sicilia spiccano gli indimenticabili Sabo (Salvatore Bonura - Palermo 1916-1975), Filippo Bentivegna (Sciacca 1888-1967) "il più noto dei naif Siciliani" (2), l’ex pescatore di Favignana Sarino Santamaria (Zu Saru), Crescenzio Cane (Palermo 1934) e Rosanna Musotto Piazza (Palermo 1930).
La schiera degli operatori riconducibili sotto l’egida teorica naive è evidente anche nella provincia di Caltanissetta. Seppur non possiamo registrare una lunga tradizione, significative ed inquietanti presenze di scultori e pittori continuano a produrre opere nelle quali i segni del naturismo la fanno da protagonista. Fra questi ricordiamo il pittore Salvatore Pepi (Niscemi 1923) che "facendo capo al suo modesto bagaglio linguistico" (3) continua l’arte di dipingere carretti; lo scultore gelese Carmelo Guzzeri evoca fiabe mediterranee modellando, con cura, tronchi di quercia e faggio; lo scultore Giuseppe Raggio (Serradifalco), che meriterebbe una attenta indagine critica- attraverso un sapiente utilizzo delle forme naturali delle radice di tronchi di ulivi innerva un cadenzario fantastico ove mostri, fate, contadini e maghi si danno convegno per comprendere i misteri dell’esistenza; lo scultore di Marianopoli Mastrosimone in mistica ascesi trasforma le pietre in preghiere; fuori dal coro si colloca lo scultore Filippo Misuraca (Mussomeli 1962) con accentuata visionarietà sconfina nei meandri dell’indicibile, trasformando la pietra in carne desiderante inconfessabili ossessioni erotiche.
Sono eloquenti due sculture che Egli, da autodidatta, ha realizzato per conto dell’Amministrazione di Mussomeli: "L’inizio" 1998, pietra di sabucina h. m.2 x 80 x60 e "Stato d’animo" pietra locale h. m.2,10 x 80 x 100. Il mussomelese sa trasferire sulla pietra, " a caso senza un preciso disegno, senza un progetto"(4), istintive rientranze ritmiche - nell’alternanza di pieni e vuoti - che mostrano il fascino della perversione morbosa di un libertino senza frontiere e modella in plastiche figure ciò che traghettate in superficie da sotto la botola del "linguaggio dimenticato". Egli, seppure ancora non ha trovato un preciso filo conduttore di ricerca estetica, predilige la scultura fortemente simbolica, ma di un simbolismo che sprofonda nei rizomi dell’inconscio per divenire coscienza apotropaica schiacciante l’ingiuria dei luoghi comuni mostrandosi totalmente nuda ai sensi dell’osservatore.
Sempre originario di Mussomeli Pippo Callari, abitante a Sutera, paese del cantastorie Nonò Salamone e degli straordinari cantori di ritrovate antiche melodie mediterranea quali sono i fratelli Mancuso, si unisce, con convinzione, alla schiera dei naive nisseni. Come quasi tutti gli artisti di ispirazione primitiva, Pippo Callari è autodidatta (ex bidello in pensione) (5) e nutre l’amore spropositato per un naturalismo con spinte idealistiche evocanti brandelli di memoria del tempo che fu. I "paesaggi del ricordo", riconducibili alla mentalità della "civiltà contadina", testimoniano l’attività del pittore attento ai valori del ciclo delle stagioni (autentici ed universali) scandite da cromie delicate. Immedesimandosi come antico contadino "analfabeta", Egli esprime in pittura l’apice dell’umana religiosità: scoprire Dio nelle piccole cose quotidiane. Ed è immerso in tale ricerca di ascendenza mistica che ebbe "in sogno una visione del volto del Cristo, che si è impresso nella mente " (6) e lo ha "costretto" a realizzare un’opera pittorica di grandi dimensioni.
Anche se concorderemo che il fare arte deriva l’alto grado culturale dei suoi operatori, davanti alla storia dei naive in generale e dei nisseni in particolari si rimane elettrizzati dal magnetismo emanato dalle loro opere provenienti da divina fonte.
Giovanni Valenti

Note
1.Pier Paolo Pasolini - Il mito del buon selvaggio in "Illustrazione Italiana"
2.Nicolò D’Alessandro- Storia della Sicilia- volume decimo "Arti figurative e architettura in Sicilia 2- pag.554- Editalia- Domenico Sanfilippo Editore, 2000-
3.Rosario Antonio Rizzo - "Il senso delle arti figurative niscemesi"- pag. 10- in Momenti di pace e di non violenza, a cura dell’Associazione artistico letteraria "G. De Chirico", edizione del Comune di Niscemi, stampato dalla tipografia Lussografica (CL) nel mese di luglio 1988.
4.1° Simposio di scultura- Mussomeli, 21 -27 settembre 1998 (catalogo) pag.12-
5.Vincenzo Nicastro- "Successo della personale del pittore Callari" in "La Voce di Campofranco", pag. 8, anno 40 -(376) n. 12, dicembre 2000.
6.Mario Tona- "Il Cristo risorto di Pippo Callari"- in "La Voce di Campofranco" anno 40 - (371)- n. 5, maggio 2000.

Illustrazioni:
1)Pippo Callari - paesaggio di Sutera- 1998
2)Filippo Misuraca - L’inizio- 1998