Si rinnovano il 22 maggio i festeggiamenti alla Santa degli "impossibili"
RIFLESSIONI SULLA DEVOZIONE A SANTA RITA DA CASCIA
La devozione a Santa Rita da Cascia e l'anima religiosa dell'Italia.
La storia della pietà popolare a santa Rita da Cascia è tipica di quell'approccio devozionale che non può essere disatteso in una ricostruzione del passato religioso. Rita ha rappresentato il punto di riferimento più qualificante e costante dei devoti, definita, e non a caso, la "santa degli impossibili", per cui la pietà ritiana nella sua emblematicità è modello devozionale tra i più importanti nella Chiesa universale. La storia dell'Italia e del mondo è stata permeata da questa devozione che suscita speranza.
La figura di questa santa fortemente ancorata al Cristo sofferente e crocefisso è, per molti aspetti, misteriosa, se non altro per la stimmata che portava sulla fronte e le traversie, spesso avventurose, vissute prima nel mondo e poi a volte nel monastero. La devozione che a lei si rivolge da tanti fedeli in tutto il mondo è - per il singolare rapporto della santa con il mistero del Cristo morto e risorto - una devozione esemplarmente ed autenticamente cristiana anche se non mancano scorie superstiziose in una religiosità popolare, che non è pietà, che è teologicamente debole ed in contrasto con il Vaticano II, il magistero e le note esortazioni di Paolo VI sull'esigenza di una evangelizzazione di fondo della pietà popolare. Ma la devozione ritiana, fatte alcune eccezioni involutive, è ricca di aspetti, spunti, momenti altamente qualificanti, tali da indurre studiosi e non studiosi, persino, se non soprattutto, semplici devoti a non apprezzare affatto le valutazioni negative, in particolare antropologiche, sulla devozione alla santa di Cascia.
Ha perciò scritto molto bene Michele Zappella in una recensione al volume La devozione a S. Rita da Cascia in Italia: il "procedere dell'indagine storiografica dissolve la fumosità delle mitomanie laiciste che, per inseguire i propri pregiudizi falsi e bugiardi, alterano completamente la verità"; pregiudizi che inducono a sottovalutare che "nel caso di Rita da Cascia, all'incontrario, la devozione interessa fedeli di ogni "classe", ricchi e poveri, umili e potenti".
L'analisi di storia sociale e religiosa presuppone, in realtà, massima attenzione e serenità, capacità di considerare e valutare elementi di alta valenza spirituale che sono parte essenziale e qualificante della vita del cristiano. Non solo, quindi, ogni pregiudizio deve essere bandito, e ciò dovrebbe essere norma in tutte le ricerche e gli studi, ma occorre analizzare il mistero della santità attraverso riflessioni capaci di spiegare quelle ragioni, esigenze, più o meno misteriose, per cui, ad esempio, don Giuseppe De Luca in una lettera scriveva: "Dovevo con la mia Storia della pietà, condotta a rigore di filologia e con impeto e respiro d'artista, dovevo fare la storia di quanto e come gli italiani hanno amato Gesù, a dispetto di quel che se ne pensa e dice negli ambienti laici e ostili. Dovevo imporre, come tesi irrefragabile a tutti, la convinzione che l'anima italiana non è stata, non è scettica, ma profondamente ha sentito il lievito oltremondano del Cristianesimo"; ed a Benedetto Croce lo stesso don Giuseppe De Luca rilevava, non meno significativamente, che con il primo volume dell'Archivio italiano per la storia della pietà, voleva "che anche l'Italia fosse presente e non da meno, in certi studi e su alcune vie del sapere. Son cento anni che l'Italia non rispondeva più se non imparaticci, ripetizioni, stramberie, retoricate, o larvate infedeltà, su questi temi. Bisognava tentare a costo di lasciarci la pelle. Quello che mi accade, per l'appunto, cara Eccellenza: la pelle, la carne, le ossa, la testa, tutto".
Queste considerazioni del "prete romano" - quale amava definirsi don De Luca - hanno una notevole importanza metodologica per coloro che si propongono indagini e studi sulla pietà popolare, ma anche di storia della Chiesa, delle sue istituzioni e dei suoi protagonisti maggiori e minori.
A parte 1'esortazione ad essere scientificamente rigorosi evitando esaltazioni frutto di un deteriore apologismo che non serve a nulla, la proposta di De Luca diviene affascinante allorquando con apparente semplicità, ma con intuizione profonda, partecipa il suo progetto di far luce sul ruolo e le finalità di coloro che "hanno amato Gesù", in quanto questo "amore" fa parte del passato degli uomini e, se nulla va trascurato in una reinterpretazione storica, appare ovvio che necessita considerare un momento così qualificante della vita della gente, quale è il rapporto con Dio ed i santi, se si vuole serenità nella riflessione.
L'affermazione di De Luca sull'anima italiana che "non è stata" e "non è scettica" è tutt'altro che peregrina, in quanto gli studi documentano che, ad esempio, in Italia si è sentito " il lievito oltremondano del Cristianesimo", anche se in alcuni studiosi vi è stata insensibilità per queste problematiche.
La devozione a santa Rita è stata evocata, proprio da Giuseppe De Luca, in una pagina apparsa sul bollettino del santuario di Cascia, "Dalle api alle rose". La "nota" ovviamente non poteva che essere breve, il linguaggio semplice, le considerazioni presentate senza indulgere in enfasi in un discorso a tutti comprensibile, dotti e anime semplici, proletari e potenti della terra. Eppur lo scritto ha una sua importanza anche per gli studiosi particolarmente pèr quegli antropologi, sociologi e storici che non hanno la capacità e la sensibilità di farsi comprendere perché indulgono all'uso di determinate espressioni roboanti, per nulla raffinate, che rivelano pregiudizi e rilievi stantii che attingono a tutta una letteratura da tempo superata. Si tratta di studiosi incapaci di farsi comprendere con monografie che si caratterizzino per semplicità e rigore e di penetrare nell'anima degli uomini, di valutare il mistero della sofferenza, l'amore, la speranza e ciò che la preghiera significa.
De Luca ha insegnato che, ad esempio, una biografia su Rita non richieda "molte architetture di ricerche e di congetture per spiegarci l'immensa e prodigiosa fortuna del suo culto nel mondo cristiano. Iddio, si dice e si dice con '' molta giustezza, non paga il sabato. Quel che Gesù amò e sofferse, lì per lì e alla morte nemmeno appariva; ma dall'amore con cui gli uomini gli hanno risposto se ne congettura l'immensità. Egualmente i santi: la loro vita nascosta, realmente nascosta, non dà neanche un sentore e un indizio della profondità e sterminatezza del loro amore: la storia se ne avvede solamente dopo, dall'amore che prorompe nei secoli e nelle masse intorno al loro nome e intorno ai loro ricordi. Dir "santa degli impossibili", non è dire una parola enfatica o superstiziosa, è dire con la persuasione delle anime cristiane che Rita può sul cuore di Dio di là della misura comune dei prodigi, può smisuratamente".
La devozione popolare: complesso fenomeno umano da indagare con un'attenta ricerca storica.
La riflessione di don De Luca induce gli studiosi a considerare seriamente aspetti e momenti della pietà popolare, della spiritualità e di storia della mentalità. In ogni caso per De Luca la fama di santità della santa umbra è incontestabile, ampiamente documentata ed interessa il vecchio ed il nuovo mondo, per questo gli studiosi non possono ignorare questi dati di fatto, chiedersi la ragione per cui in ogni angolo della terra le masse guardano a Cascia; potranno così offrire risposte esaurienti in modo che la ricostruzione del passato e le analisi del presente siano più rigorose. La ricerca non può prescindere, comunque, da una valutazione delle virtù eroiche, della vita di contemplazione e di macerazioni di Rita e, prevalentemente, del significato ed importanza che hanno l'amore, il nascondimento, l'ascesi, la mistica, la contemplazione e la spiritualità nell'itinerario verso la santità. Uno studio su aspetti di così alto significato potrebbe spiegare i motivi per cui la santa fu invocata come "santa degli impossibili", un appellativo che dice tutto, non lascia adito a fragili interpretazioni e che fu attribuito non dalla gerarchia, che peraltro lo ha accettato, ma da migliaia e migliaia di devoti, quindi - osserva giustamente De Luca -, non è "parola enfatica e superstiziosa", ma "persuasione delle anime cristiane che Rita può sul cuore di Dio di là della misura comune dei comuni prodigi, può smisuratamente". C'è da chiedersi a questo punto se il persistere di tutta una "letteratura" - cui già si è accennato - che punta ad accreditare affermazioni gratuite circa gli effetti involutivi di questa devozione nelle cosiddette "classi subalterne", oltre ad essere fortemente inficiata di pregiudizi, non offenda quelle masse di devoti che chiedono la mediazione di Rita presso Dio per ottenere la "grazia" nella certezza che la santa monaca agostiniana "può sul cuore di Dio".
La storia dei protagonisti minori, degli sconosciuti, degli emarginati è ancora da scrivere; molto si è fatto in questi ultimi cinquanta anni, ma siamo ancora ben lontani dall'aver recuperato quella dimensione della società civile che -come avvertiva Gabriele De Rosa in un saggio degli anni Settanta - è nella esigenza di collegare "la nostra ricerca a un'attenzione fondamentale, nel senso proprio della parola latina fundamentum, per le strutture della società, esigenza che nasce dal rifiuto delle metodologie globali, di quelle metodologie che assorbono o meglio che riducono tutto in gioco intellettualistico di schemi logici prefissati".
Una via per conoscere queste masse di devoti è indubbiamente la ricerca storica, ma una ricerca che non prescinda da una attenzione a ciò che è accaduto persino in minuscoli centri e che tenga conto dei rapporti tra Chiesa e società, del vissuto religioso, dell'incidenza che ebbe la spiritualità nella pietà popolare e, s'intende, delle tracce visibili lasciate dai devoti. Ed è perciò necessario prendere le distanze da quegli studi "preconfezionati" dove le conclusioni sono state preparate ancor prima di iniziare la ricerca, è indispensabile evidenziare tutte quelle scorie (superstizioni, pratiche magiche, strumentalizzazioni degli stessi gestori dei santuari volte a trarre profitti economici odi certo notabilato a volte attestato su posizioni avverse alla Chiesa) che impediscono quel rapporto con Dio e quella evoluzione religiosa più volte auspicata, soprattutto dopo l'ultimo Concilio, dal magistero. E' stato osservato che a Cascia "le rose vendute dal monastero sono considerate le più potenti" ma parallellamente si svolge un mercato "non ufficiale che vede ambulanti napoletane, arrivate a Cascia nella prima mattinata, offrire i fiori ad un prezzo più basso del monastero. Il mercato parallelo delle rose rientra nel più vasto giro d'affari del turismo sacro, che vede ancora una volta protagoniste donne meridionali (che sono anche le più ferventi devote) ritagliarsi una fetta, parziale ma significativa, del mercato".Ma c'è di più - si conclude nello studio citato - " le istituzioni religiose cercano di "evangelizzare" i turisti che si recano a Cascia, e a questo scopo sono sorte la "Penitenzeria", nella quale si svolgono confessioni private e pubbliche, e la "Casa degli Esercizi Spirituali" nella quale si tengono conferenze e incontri di natura ecclesiale".
Questi rilievi, che sono stati integralmente riportati come documento significativo che attesta la fragilità scientifica delle valutazioni di alcuni saggi di antropologia, non sono sufficienti per valutazioni serene di quegli aspetti devozionali negativi che, come si è detto, impediscono una evoluzione della pietà popolare. Indubbiamente attivo "commercio" delle rose benedette non è in sintonia con una coerente vita devozionale e le disposizioni della Chiesa, ma è pur vero che non risulta dalle ricerche che il monastero o il santuario, in passato, abbiano promosso una vendita delle rose. E' noto poi che i pellegrini spontaneamente assicurano offerte in danaro per le rose benedette senza però esservi costretti ed invitati. A Cascia, però, non sono andati i turisti ma i pellegrini, ed è cosa diversa, infatti si è sempre assicurato un servizio religioso ed un idoneo annuncio della Parola di Dio, la Penitenzeria è stata accolta con favore dai pellegrini e Cascia è sede idonea per coloro che attraverso gli esercizi spirituali tendono alla perfezione. La disinformazione è molto evidente, per cui è ovvio che l'analisi su questi aspetti religiosi non può che essere carente; lo studio di temi come la pietà popolare, richiede sensibilità, ma anche un minimo di informazioni per penetrare nel vivo di aspetti e momenti tanto qualificanti della vita devozionale.
La testimonianza degli ex voto.
Gli ex voto conservati nel santuario di Cascia offrono uno spaccato assai puntuale del rapporto, molto intenso tra santa Rita ed i suoi devoti. Si tratta di alcune centinaia di oggetti ma, se fossero stati tutti conservati sarebbero migliaia: abiti da sposa, capelli, arti artificiali, stampelle, ceri e altri "omaggi" più frequenti e che, per ragioni intuibili, sono stati donati (ad esempio gli abiti nuziali) ai bisognosi, anche all'estero, o distrutti. Questi ex voto, quasi tutti senza alcun valore venale, documentano la semplicità del dono e, per molti aspetti, il tipo di grazia chiesta a Rita e cioè guarigioni da malattie più o meno gravi, la soluzione di conflitti, ottenere un posto di lavoro, o anche richieste più umili e "curiose": ad esempio un devoto avendo chiesto ed ottenuto di liberarsi dal vizio del fumo ha voluto che il suo pacchetto di sigarette e l'accendino, singolare ex voto, fosse deposto accanto all'urna della santa tra gli altri reperti devozionali. Domande, quindi di graxie molto spesso semplici, ma ricche di significato; ovviamente non mancano ex voto di grande valore venale e qualche opera d'arte di notevole pregio, oppure doni di beni immobili e di grosse somme di danaro da destinare all'assistenza degli orfani e dei poveri. Questa diversità dei doni attesta ulteriormente che l'estrazione e la posizione sociale dei devoti è stata ed è differente: ricchi, poveri, borghesi, personalità della cultura, dello spettacolo, dello sport come è documentato dalle centinaia di divise sportive, guidoni delle diverse società, guantoni da pugile, palloni donati dagli atleti. Significative sono, ad esempio, le insegne massoniche per "grazia ricevuta". Gli ex voto donati a santa Rita, per molti aspetti, sono originali rispetto a quelli conservati in sedi diverse per rendere omaggio di gratitudine ad altri taumaturghi. Non poche sono le insegne delle diverse onorificenze "al merito della Repubblica" o pontificie, per meriti agonistici e culturali e artistici orologi, antichi e meno antichi, da tavolo, tascabili o di polso.
Numerose sono le spade e le sciabole di dimensioni diverse, artistiche penne in oro, imbarcazioni in miniatura di legno e stemmi di alcune città (di Foligno, di Tolentino, di Latina, di Cascia) come simboli di "sudditanza" spirituale e decine le targhe votive soprattutto in argento decorate con rose, alcune semplici come quella della devota del Venezuela dove è scritto "gracias a Santa Rita por el favor congedino.
Nency" o della parigina che ha fatto incidere sulla piastra "remerciement à Sainte Rita. Francine". I gioielli sono splendidi; le devote, è ovvio, si sono private di oggetti non solo preziosi ma anche importanti ricordi affettivi, perché il dono offerto attestasse la sincera e grande riconoscenza. Coralli,spille, antiche borsette da sera in argento, qualche diadema prezioso tempestato di brillanti, perle, tutto accompagnato da scritti significativi, come, ad esempio, "con gratitudine per la sua benevolenza verso di noi. Amiamo S. Rita".
Gli ex voto casciani nella loro varietà documentano innanzitutto che la pietà è capace di superare ogni steccato di "classe" accomunando devoti di condizioni sociali diverse, uniti con il medesimo fervore nella domanda di grazie differenti, nella sofferenza e nel dolore, nell'implorare assistenza e protezione, nella riconoscenza per tutto ciò che Dio ha elargito mercé l'intercessione della "santa degli impossibili". Stando così le cose non sussistono, nella devozione a santa Rita, distanze "ideali" tra le diverse nazioni del globo per il fatto che la devozione è segno di unità e non desta sorpresa se, ad esempio, in Brasile una città è stata chiamata Cascia o se le rose rosse vengono benedette in tutto il mondo per la festa ritiana di maggio e conservate come preziosa reliquia. La devozione annulla ogni steccato e cementa l'unità nelle Chiese e nelle società della terra; è speranza, fa avvertire sicurezza in momenti drammatici, è all'antitesi di ogni divisione, è veicolo verso un reale incontro tra le culture. Ma quando la devozione è oggetto di strumentalizzazione, di indebito uso per pratiche superstiziose, o i reperti (ad esempio i petali delle rose benedette o le polverine "devozionali") vengono usati contro le fatture o per altre pratiche magiche, non è più pietà perché è assente l'amore, tutto è artificioso nella provvisorietà, capace di assicurare una transitoria quiete interiore per poi riacquisire incertezze ed instabilità.
(Da "Una devozione italiana" di Pietro Borzomati, Centro Studi Cammarata, San Cataldo - Dic. 2000)